IL SUDTIROLO

 

 

L’ORIGINE DI UN NOME

Il termine Sudtirolo nasce per la prima volta nel 1919, col trattato di SAINT GERMAIN. Fino ad allora, questa terra, era stata, nel corso dei secoli, una parte del Tirolo che l’imperatore Massimiliano I aveva acquisito per l’Austria intorno al 1500.

Oggi, per Sudtirolo, si intende la Provincia Autonoma di Bolzano, unita a quella di Trento nella regione Trentino- Sudtirolo (in precedenza, Trentino-Alto Adige).

Il nome Alto- Adige, che deriva da Haute Adige, invece, è una creazione napoleonica, in analogia con i dipartimenti francesi denominati, per lo più, secondo il corso dei fiumi.

 

COLLOCAZIONE GEOGRAFICA

Il Sudtirolo si estende (vedi carta geografica panoramica) a sud dello spartiacque alpino ed è collegato con il Nordtirolo dai passi Resia (1504 m) e Brennero (1371 m). Esso è formato dalle valli che fanno capo al bacino idrografico dell’Alto Adige: Val Venosta, Val d’Adige da Merano a Salorno, Val d’Isarco e Val Pusteria. La superficie complessiva ammonta a 9.900 kmq. 

LA STORIA

Considerando la zona alpina e relativamente alla presenza dell’uomo, possiamo dividerla in quattro grandi periodi:

1)      LA PREISTORIA (12000 A. C. – 3500 A. C.). E’ il periodo della evoluzione, della stabilizzazione delle razze e delle culture umane di cui non rimangono documenti scritti ma solo reperti archeologici (manufatti) o antropologici (ossa umane). Essa comprende la fine del PERIODO PALEOLITICO SUPERIORE o ANTICA ETA’ della PIETRA, il periodo MESOLITICO, o MEDIA ETA’ della
PIETRA e il periodo NEOLITICO o NUOVA  ETA’ della PIETRA.

2)    LA STORIA (3500 A.C. – fino ai giorni nostri). Le conoscenze storiche di questo periodo si fondono su testimonianze dell’intelletto umano, come documenti – scritti, iscrizioni su pietra, tavolette e papiri. Essa comprende l’EVO ANTICO (3500 A. C. – 493 D. C.), che a sua volta include l’ETA’ del RAME o CALCOLITICO (3500 A. C. – 2300 A. C.), l’ETA’ del BRONZO (2300 A. C. – 1000 A. C.) e l’ETA’ del FERRO (1000 A. C. – 15 A. C.); dura sino alla caduta dell’impero romano a seguito delle invasioni barbariche.

3)    Il MEDIOEVO (493 D. C. – 1492 D. C.). Per convenzione, ha inizio dalle invasioni barbariche e perdura sino alla scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo.

4)    L’EVO MODERNO (1492 D. C. – fino ai giorni nostri).

 A) LA PREISTORIA

La questione di chi fossero, nei secoli precedenti la nascita di Cristo, i primi abitanti delle valli sudtirolesi è tutt’altro che risolta. I glottologi e gli studiosi della preistoria, si devono infatti accontentare di scarsi rinvenimenti archeologi ed antropologici.

Tuttavia, nonostante la frammentarietà della documentazione impedisca una esposizione organica e sicura, si possono comunque avanzare, cautamente, delle ipotesi. Con ogni probabilità, già in epoca preistorica, l’uomo abita le valli a sud del Brennero.Le tracce di una prima, parziale, colonizzazione risalgono all’ETA’ DELLA PIETRA ed, in particolare, alla fine del PALEOLITICO e al periodo MESOLITICO (12000 A. C. – 5000 A. C.). 

LE PRIME TRACCE DELL’ UOMO

Sono collocabili attorno al 12000 A. C., nella zona centrale delle Alpi e in quella regione, che dal MEDIOEVO, viene chiamata TIROLO.

Taluni reperti ritrovati sull’ Alpe di Siusi sono della fine del PERIODO PALEOLITICO e si riferiscono appunto al 13. mo millennio A.C. 

I CACCIATORI MESOLITICI

All’inizio del Periodo Mesolitico (10000 – 5000) il clima si fa più mite, favorendo gli insediamenti degli uomini di questa epoca, le loro attività e i loro spostamenti. Compaiono, di conseguenza, nella regione alpina, i primi SITI DI FONDOVALLE (a 200 – 300 metri S.L.M) e i SITI DI ALTA MONTAGNA (oltre i 1900 metri S.L.M) da cui partono i cacciatori per spingersi, alla ricerca di cibo, presso i laghi di montagna, fin sulle cime più alte. In Sudtirolo, sono stati ritrovati dei siti mesolitici di fondovalle a San Giacomo presso Bolzano (strumenti litici), a Bressanone – Stufles (strumenti litici di selce e di cristallo di rocca) e a Naturno presso Merano.

Bisogna notare che a quel tempo, le praterie montane, dove vivevano i grandi mammiferi alpini, si estendevano in alto, sopra i 2000 metri, a nord. Ciò spingeva i cacciatori (vedi fig. n. 1) a risalire, durante l’estate, nelle zone più alte, specialmente presso valichi e passi, appunto per cacciare stambecchi e camosci. I siti d’alta quota sono quindi posti di bivacco e di accampamento e si trovano nell’area dolomitica dove più numerosi sono i pascoli, fra i 1900 e 2300 metri.

I siti d’altura più importanti sono 3: PASSO COLBRICON (1930 metri, presso il Passo Rolle), PASSO OCLINI (1990 metri, presso il Passo di Lavazè) e PLAN DE FREA (1925 metri, in alta Val Gardena). Le attività principali per procurarsi il cibo sono la raccolta di frutti spontanei del bosco e di vegetali commestibili, la caccia di grossi erbivori (cervo, capriolo, camoscio, stambecco, orso, lupo) e la pesca di pesci vari, molluschi, tartarughe di acqua dolce, presso laghi e stagni. Per poter cacciare, l’uomo lavora la SELCE, L’ OSSO, IL CORNO ed altri materiali per costruire RIPARI.

La lavorazione della PELLE, (di CERVO, di CAPRA, di ORSO BRUNO),   gli consente di confezionare gli indumenti necessari. 

ÖTZI, L’UOMO VENUTO DAL GHIACCIO

Il 19 settembre del 1991, due turisti tedeschi, Erika ed Helmut Simon, rinvengono in vicinanza del rifugio SIMILAUN, a 3210 metri di altitudine una mummia umana (più tardi amorevolmente chiamata ÖTZI, dal luogo del ritrovamento, l’ ÖZTAL) ancora parzialmente ricoperta di ghiaccio (vedi FOTO  A ).

Essa giace in un avvallamento (vedi FOTO  B ) nei pressi del GIOGO DI TISA (o TISENJOCH),  al confine italo- austriaco, che ne impedisce il graduale scivolamento a valle. La perfetta conservazione del cadavere dipende dal FÖHN, vento asciutto e caldo, che a quel tempo lo asciuga prima di venire coperto e quindi conservato da uno spesso strato di ghiaccio. Pochi giorni dopo, la salma viene portata all’ Istituto di Anatomia di Innsbruck, dove viene presa in consegna per garantirle un’ottimale conservazione e per poter iniziare le ricerche scientifiche.

Quest’ultime, realizzate con grande meticolosità, accertano che la mummia appartiene al genere maschile ed è vissuta tra il 3350 e il 3100 A.C. (ETA’ DEL RAME).

L’uomo, un cacciatore o un pastore, al momento del decesso, ha una statura di 1,59 m, un’età di circa 46 anni e pesa 50 kg (vedi FOTO C).

Il fatto straordinario di questa scoperta è che un uomo, strappato improvvisamente alla vita, viene riportato alla luce in abbigliamento quotidiano col suo equipaggiamento (ascia, arco, faretra, pugnale, ritoccatore, rete, gerla ecc.), e che quindi è possibile, per la prima volta, studiare il vestiario di un essere umano vissuto all’inizio del CALCOLITICO o ETA’ del RAME.

Oggi, ÖTZI è conservato in una costosissima cella frigorifera (vedi FOTO D) appositamente realizzata all’interno del Museo Archeologico dell’Alto Adige, nella città di Bolzano e nelle stesse condizioni in cui è stato trovato: 100% di umidità e –6° di temperatura. 

IL “GIALLO” DEL CONFINE

 L’equivoco

Sabato 21 settembre 1991, i carabinieri della stazione di Senales, in provincia di Bolzano, dichiarano testualmente: “in questo secolo non risultano persone scomparse nel ghiacciaio del NIEDERJOCHFERNER. Il 28 settembre, arriva la prima nota ufficiale del commissariato del Governo di Bolzano: “si precisa che il corpo rinvenuto nella zona del Similaun, come è stato constatato da un sopralluogo compiuto nella mattina del 21 settembre dai carabinieri e, come confermato dai loro colleghi gendarmi, si trova in territorio austriaco. A Innsbuck sono talmente sicuri che il luogo del ritrovamento sia nel loro territorio, che si muovono rapidamente per prelevare con l’elicottero il corpo mummificato col relativo corredo. Ma il 3 ottobre 1991, la gendarmeria austriaca (ironia della sorte) dà clamorosamente la notizia ufficiale che il rinvenimento della salma è avvenuto in territorio italiano; per 92 metri e 56 centimetri!! 

B) L’EVO ANTICO 

LE PRIME POPOLAZIONI

Di vere e proprie popolazioni , però, si può parlare solo a partire dall’ETA’ DEL BRONZO con l’avvento degli ILLIRI provenienti dal sud-est  dai quali (vedi FIG. N° 2) discendono gli attuali albanesi. Nella ETA’ del FERRO si stanziano, nel 500 A.C. gli ETRUSCHI, di cultura particolarmente avanzata, a cui seguono nel 300 A.C. i CELTI, i LIGURI, i VENETI e i GALLI CENOMANI. Dal 113 al 102 A.C. giungono i CIMBRI, sino a quando i Romani conquistano TRIDENTUM (Trento) e riuniscono tutte le popolazioni presenti, così variegate, in un unico popolo, chiamato dei RETI.

Così i territori alpini sono assoggettati a ROMA e rimangono sotto il suo dominio, coi nomi di RAETIA II, NORICUM,  e VENETIA CUM HISTRIS, cioè X REGIO (vedi FIG. N° 3) per un periodo di oltre 4 secoli. 

LA ROMANIZZAZIONE

Sono i figliastri di Augusto, Druso e Tiberio a conquistare e a sottomettere nel 15 A. C. il territorio Alpino. Il periodo dell’occupazione Romana, per merito di un superiore grado di civiltà e di cultura, consente:

C) IL MEDIOEVO

       Le invasioni barbariche 

Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, avvenuta nel 476 d.C., prende corpo, intorno al 600 d.C., l’immigrazione e la presa di potere dei popoli germanici, quali i LONGOBARDI, i FRANCHI e i BAJUVARI. Inizia così inesorabilmente un processo lento ma costante di germanizzazione che porta, attraverso un periodo durato un millennio (dal 600 al 1600 d.C.) la popolazione reto-romana a fondersi con quella germanica dominante e ad abbandonare la propria lingua per passare a quella tedesca.

Ma nel 774 d.C. Carlo Magno batte i Longobardi e così il territorio, su cui sorge il Sudtirolo odierno, viene incorporato nella circoscrizione dei Franchi. Carlo Magno, incoronato dal Papa imperatore del Sacro Romano Impero nell’800 d.C., muore nel 814 d.C. mentre i suoi eredi, i Carolingi, si estinguono nel 912 d.C. 

PRINCIPATI VESCOVILI DI TRENTO E BRESSANONE E LA CONTEA DEL TIROLO

Le valli dell’Inn, dell’Isarco, dell’Adige e i valichi alpini di Resia e del Brennero (vedi carta geografica panoramica) costituiscono il passaggio più frequentato dagli imperatori tedeschi per scendere in Italia, nell’intento di essere consacrati ed incoronati dal Papa a Roma. Spesso i sovrani del Sacro Romano Impero, nel loro transito, devono far fronte a congiure, rivolte ed imboscate, provenienti dai duchi bavaresi, sassoni e svevi che ambiscono all’indipendenza persa sotto Carlo Magno. Insomma, perdere il controllo di questi siti, che garantiscono la via verso Roma, arreca un grave danno alla politica imperiale. Per evitare tali inconvenienti, intorno all’anno 1000, una quantità di vescovi e di abati, ricevono in proprietà, dagli imperatori germanici, contee e ducati. Infatti, come risulta da un documento del 1190, i vassalli di questi Principi Vescovi, sono obbligati a scortare il convoglio degli imperatori con un proprio contingente, lungo tutto il territorio del Principato, nell’intento di garantirne l’incolumità. Si formano così, il PRINCIPATO VESCOVILE DI TRENTO e quello di BRESSANONE (VEDI FIG. N° 5). Vengono impiegati come balivi i membri di alcune casate nobiliari, di cui tre decidono le sorti della futura CONTEA del TIROLO: i Conti di ANDECHS – MERANIEN, i Conti di APPIANO e ULTIMO ed i Conti di VENOSTA. Tra le tre casate nascono dei contrasti che, alla lunga rafforzano sempre più i Conti di Venosta. Essi, nel 1150, ottengono l’avvocazia del Principe Vescovo di Trento e assumono il nome di CONTI DEL TIROLO, dal nome del loro maniero sopra Merano, Castel Tirolo (vedi FOTO F).

Nel 1248 dopo l’estinzione del casato degli ANDECHS, il Conte Alberto III di Tirolo ottiene l’avvocazia anche del Principe Vescovo di Bressanone. 

L’AVVOCAZIA

Poiché l’esercizio personale del potere temporale, riferentesi alle funzioni giudiziarie e politiche, è inconciliabile con l’ufficio spirituale del vescovo, costui cede il potere comitale e l’avvocazia che è una sorta di istituto giuridico specifico volto a PROTEGGERE I BENI ECCLESIASTICI, a potenti della nobiltà laica.

I vescovi dunque devono servirsi di un avvocato a ciò preposto. I conti del Tirolo diventano, di conseguenza, amministratori e protettori delle due contee vescovili.

Questo istituto assume anche un significato militare. La chiesa, depositaria di ingenti patrimoni, ha bisogno di un braccio armato al quale affidare la propria difesa. L’avvocato, man mano, si prende carica anche di questo compito. Così Mainardo, come vedremo, riesce, da vassallo, a diventare il vero padrone, spodestando in pratica i Principi Vescovi di Trento e Bressanone. 

IL SOGNO DI UN PRINCIPE: MAINARDO II E LA NASCITA DEL TIROLO 

LA FIGURA

Il più potente ed ambiguo rampollo della famiglia dei Conti del Tirolo è senza dubbio (vedi FIG. N° 6) MAINARDO II.

Nasce nel 1238 da Adelaide, figlia di Alberto III, e da Mainardo  I di Gorizia e Tirolo (vedi FIG. N° 7). Figura tra le più singolari e meno conosciute della storia europea, dalla personalità complessa, geniale precursore, piacevole anfitrione con gli amici più fedeli (vedi FIG. N° 8), scaltro uomo d’affari, usurpatore privo di scrupoli dedito alla spoliazione dei suoi avversari, pio e venerato benefattore della Chiesa ma da questa anche considerato un ladro, viene più volte scomunicato.

 In pochi anni passa dal rango di semplice feudatario a quello di principe del Sacro Romano Impero, pur avendo contro i due avversari più forti, la Chiesa e una nobiltà agguerrita, sempre pronta al tradimento.

Egli, attua un progetto politico spregiudicato, coerente ma anche straordinariamente moderno e chiaramente concepito che non si affida alla guerra, bensì ad una sottile strategia diplomatica ed economica. Riesce così a realizzare il suo sogno di creare uno stato laico e potente nell’area alpina orientale: la CONTEA del TIROLO.

Essa viene riconosciuta ufficialmente come stato a sé stante dal re Rodolfo d’ASBURGO nel 1282.

A quest’opera dedica quasi quarant’anni della propria vita, dal 1258 al 1295. GESCHICK, GEWALT, GELD UND GLÜCK (perizia, violenza, denaro e fortuna) sono considerati gli ingredienti del suo successo. Potere, acquisizione di nuovi possedimenti, denaro, sono per lui i valori prioritari. Furto, violenza, astuzia: questi i mezzi più frequentemente usati. E’ un maestro di ipocrisia, del doppio gioco politico. Gli oppositori sono incarcerati, torturati a morte nelle prigioni, impiccati. Usa, senza scrupoli il monopolio della violenza che l’avvocazia gli ha messo in mano.

Mainardo II è il primo signore del medioevo a rendersi conto che C’EST L’ARGENT QUI FAIT LA GUERRE, e quindi a conquistare il potere sui mercati prima che sui campi di battaglia, pur restando attentissimo allo sviluppo delle tecnologie militari.

Per realizzare tale ambizione o disegno, il conte sa di dover condurre una battaglia lunga e serrata, con la forza e con l’astuzia, anzitutto contro i Principati Vescovili di Trento e Bressanone ancora formalmente investiti in quell’area, dagli imperatori, del potere temporale e della sovranità politica sull’intero territorio regionale in forza delle lontane donazioni. E poi contro la piccola nobiltà terriera, che è cresciuta all’ombra dei principati e che dovrà essere sfrondata di buona parte dei privilegi e dei possessi acquisiti. Ma la chiesa del III secolo, imbaldanzita oltre misura dalla dottrina teocratica, è ben decisa a difendere i suoi ingenti possedimenti anche a prezzo di aspre lotte e a discapito della sua missione evangelica; nel 1027 i Vescovi di Trento e Bressanone ottengono dall’imperatore Corrado II il dominio secolare sui loro terreni. Sono, da un lato, i rappresentanti del Papa, sul piano spirituale e religioso, dall’altro feudatari dell’Imperatore.

Dunque, solo un sovrano o un principe determinato ed impavido avrebbe potuto procedere alla secolarizzazione forzosa dei principati ecclesiastici, sfidando gli inevitabili anatemi papali.

A causa di un contrasto dei conti del Tirolo e dei conti di Gorizia con l’arcivescovo di Salisburgo, finito con una sconfitta dei primi, in gioventù Mainardo II e suo fratello Alberto di Gorizia trascorrono lunghi anni come ostaggi del Principe Vescovo, a garanzia del pagamento di una enorme somma di denaro, pattuita nella pace di LIESERHOFEN nel 1252. Solo alla fine del 1258 Mainardo II ottiene la libertà in circostanze mai completamente chiarite e si pone subito al timone dei domini paterni.

Sette lunghi anni di prigionia nell’esilio salisburghese, incidono in modo decisivo sul carattere e sulle idee del conte, influenzandone le scelte. Essi determinano il disincanto, il realismo e l’algido cinismo dei suoi rapporti con i potenti della chiesa, del cui agire conosce, di prima mano, le prosaiche e molto terrene ragioni.

La prima mossa della partita Mainardo II la effettua nel 1259 quando sposa Elisabetta Wittelsbach di Baviera, vedova di Corrado IV, entrando così a far parte della famiglia imperiale degli svevi (HOHENSTAUFEN). Ma l’obiettivo prioritario del Conte è rendere sempre più ricca la Contea del Tirolo: riesce anche in questo, come vedremo nei capitoli successivi, rendendo sicure e praticabili le strade, organizzando un perfetto sistema doganale lungo le frontiere, dando vita ad una innovativa struttura amministrativa e spoliando dei loro possedimenti i vescovi e i nobili.

Mainardo II, avvalendosi dell’uso spregiudicato del potere connesso all’avvocazia, riesce lentamente ad unificare le precedenti contee e giurisdizioni appartenenti ai principi vescovi di Trento e Bressanone, in un’unica vasta entità politica territoriale, all’estremità della quale stanno Ala e Kufstein (vedi FIG. N° 9).

Ai vescovi di Bressanone il conte sottrae Rodengo la chiusa di Rio Pusteria, Gudon, il Wipptal, Trostburg con la relativa giurisdizione, Castelrotto, Aichah, Petersburg, Valles, Selva Gardena, Chiusa e Brunico. Ai vescovi di Trento toglie Appiano, Mayenberg, Bolzano, Renon, San Genesio, Villandro, Caldaro, Termeno, Egna, Salorno e Königsberg. Nel territorio corrispondente all’attuale Trentino, si impadronisce di numerosi domini a Pergine, Andalo, Spor, Flavon, Mezzocorona, Molveno, in Val di Cembra, in Val di Sole. Delle numerose contee in cui era diviso il territorio, si finì per non parlarne più. Ad esse si sostituisce un nuovo dominio denominato, a partire dal 1271, “COMITATUS ET DOMINIUM TYROLIS”, ovvero CONTEA DEL TIROLO.

Le sue capacità imprenditoriali e finanziarie gli consentono di accumulare in breve termine, una ingente ricchezza e con essa un enorme potere. Le entrate sono dovute alle proprietà terriere in continuo aumento, alle gabelle, alle imposte e al diritto di zecca. Già nel 1259 Mainardo II comincia a batter moneta; l’infeudamento con diritto di zecca è stato concesso dal vescovo di Trento con il permesso imperiale all’istituzione ufficiale della zecca di Merano (vedi FIG. N° 10) viene dato da Rodolfo I nel 1274. I cosiddetti “AQUILINI” mostrano sul verso l’immagine dell’aquila imperiale sveva. Questi denari argentei godono presto di grande popolarità in tutta l’Italia Settentrionale. Dal 1274 in poi gli Aquilini vengono sostituiti dal “TIROLINO” portante l’emblema dell’aquila tirolese da un lato, e due croci incrociate sul retro, da cui il termine tedesco ETSCHKREUZER.

Mainardo II contende per tutta la vita, territori, castelli e potere ai vescovi e alla nobiltà feudale tanto da ricevere la prima scomunica papale nel 1267, solennemente rinnovata nel 1269, perché “aveva strappato le vesti del corpo della Chiesa di Trento”.

Nel 1281, papa Martino IV, nuovamente lo scomunica, essendo da questi ritenuto un persecutore della Chiesa. Il terzo anatema gli giunge da papa Nicolo IV in quanto Mainardo II si era rifiutato di restituire tutte le temporalità sottratte al vescovo di Trento. Ma, alla morte del papa, grazie ad abili manovre, Mainardo II fa volgere la situazione nuovamente a proprio favore. Riesce ad ingannare l’inesperto papa Celestino V, affermando di aver occupato alcuni fortilizi solo per motivi di sicurezza e nell’interesse della chiesa di Trento e di averne amministrate le temporalità in qualità di “advocatus et defensor”, durante la sede vacante.

Il papa assolve il conte dalle scomuniche. Nel 1295, con una solenne messinscena, nel Duomo di Trento avviene la formale assoluzione dello stesso dalle scomuniche.  Ancora nello stesso anno il nuovo papa Bonifacio VIII, dichiara nulla quella decisione e rinnova la scomunica del nobile Mainardo II, ladro dei beni ecclesiastici di Trento.

La morte coglie Mainardo II nel 1295.

Dopo la scomparsa dell’ultimo discendente maschio della dinastia dei conti del Tirolo, Mainardo III, prende il potere la nipote del conte Mainardo II, Margarethe Maultasch. Nel 1363, con l’approvazione di tutte le classi sociali, essa cede il Tirolo al Duca d’Austria Rodolfo IV della stirpe degli Asburgo, per evitare eventuali dissensi dopo la sua morte sul possesso del Tirolo. Merano ne diviene il capoluogo sino al 1420 quando il duca Federico IV la sostituisce con Innsbruck. Inizia così per il Tirolo una nuova era storica, quella dell’appartenenza per quasi 600 anni all’Austria, caratterizzata tuttavia da uno spirito e costante amore per l’indipendenza.

Nelle figure n° 11-12-13-14 possiamo apprezzare la storia illustrata di Mainardo II con i relativi commenti. 

LE FONTI DI RICCHEZZA DI MAINARDO II 

Mainardo II può contare su cospicue entrate (vedi TAB. A1).

Analizzando le singole voci si   nota come quella derivante dall’amministrazione delle sue PROPRIETA’ FONDIARIE (le terre coltivate nella contea), pur risultando percentualmente la più alta, rappresenta solo circa 1/3 delle entrate globali. Dunque, la parte più viva delle sue entrate effettive, aveva un’origine extra agraria. Deriva cioè da attività che, oggi, definiamo “terziarie”.  Tra di esse ve ne sono alcune che MAINARDO II ha introdotto ex novo e che nulla hanno a che vedere con le tradizionali fonti di ricchezza tipiche del FEUDALESIMO classico. Il segreto della sua ricchezza ed il successo della sua politica dipendono dalla FINANZA  e nel riconoscimento della potenzialità della MONETA, del CREDITO e dell’ INTERESSE SUL CREDITO. Visto, in quest’ottica, il conte del Tirolo, più che guerriero, può essere considerato un geniale finanziere. Il commercio europeo fa scorrere, in una terra di transito per antonomasia, come quella alpina, un fiume d’oro. Egli comprende i vantaggi derivanti dal saper creare a questo afflusso di ricchezza  le migliori condizioni possibili relative alla sicurezza delle strade, alla credibilità della moneta tirolese, denominata “MERANER KREUZER, o ADLERGROSCHEN, o “TIRALINO” o “CARANTANO” (vedi FIG. N° 15), e la bassa incidenza del carico daziario sulle merci in transito. Si lascia guidare in questo, dal proprio fiuto e dai consigli di competenti banchieri fiorentini, appositamente ingaggiati.

L’ATTIVITA’ FINANZIARIA, LA ZECCA, LE BANCHE

Mainardo II intuisce appieno le possibilità di ricchezza che gli si offrono dal fatto di esser l’unico a fornire al commercio, ai transiti e alle attività economiche che si svolgono nelle sue terre, i servizi legati all’esercizio della ZECCA. Essa viene istituita a Merano, a poca distanza dall’avito castel Tirolo. Il privilegio di “batter moneta” gli viene riconosciuto, nel 1273, da Rodolfo D’Asburgo, suo protettore. In breve tempo, nel Tirolo,  il MERANER KREUZER, finisce per dominare incontrastato. Esso gode per la sua stabilità ed affidabilità, di un notevole favore presso i mercanti italiani e germanici. Gli introiti relativi alla zecca si riferiscono alla differenza tra il valore nominale ed il valore del metallo impiegato nel conio, cui si aggiungono gli utili che derivano dal ritiro e dal cambio della moneta stabile. In strettissimo rapporto con la zecca Meranese lavorano i CASANI (banchieri di cambio), imprenditori borghesi fiorentini, chiamati da MAINARDO II al proprio servizio. Essi hanno il compito di cambiare le monete di provenienza esterna e di acquistare l’argento per il rifornimento della zecca (ogni moneta contiene 1,63 grammi d’argento fino ed ha un valore di conio particolarmente alto). Inoltre possiedono il monopolio del credito ipotecario.

Un ulteriore fonte di guadagni è rappresentata dal commercio dell’ ORO. Egli fa incetta del prezioso metallo in Germania e lo rivende in Italia, speculando sulla differenza di valore sulle due piazze. 

L’ESTENSIONE DEL PATRIMONIO FONDIARIO DI MAINARDO II 

LE SVAIGHE

Alcuni contadini, asserviti ai Conti del Tirolo, dissodano a partire dal XII secolo, territori boscosi disabitati e incolti, in altura, dai 1200 ai 1700 metri S.L.M. Nascono così le SVAIGHE, gli odierni masi, cioè insediamenti agricoli montani di tipo sparso dediti all’allevamento del bestiame e alla produzione di formaggio, burro, strutto, carne e lana. Ciò serve a Mainardo II e al suo casato per acquisire un grande patrimonio fondiario e quindi rendere sempre più ricca la Contea. Le svaighe sono dunque delle unità produttive:

       dedite all’allevamento di bestiame bovino ed alla produzione casearia per il mercato;

       costituite sempre sotto forma di maso;

       condotte da un nucleo familiare composto di 5 – 9 membri;

       situate su di una fascia di territorio alpino tedescofono posto tra le altitudini di 1200 e 1600/1700;

       sorte, in questi territori, su iniziativa e sotto l’organizzazione della feudalità, soprattutto laica, di cultura agraria bavarese, tramite l’assegnazione ad una famiglia di contadini, spesso da poco affrancati, di un terreno boscoso o produttivo da dissodare;

       dotate dal signore di sei capi di bestiame (detti “die Eisenkühe”, “le vacche di ferro”), attrezzature, suppellettili e sementi per consentire l’inizio del lavoro;

       concesse (in Tirolo) generalmente mediante il contratto di “Erbleihe”, ovvero di un canone di locazione immutabile ereditariamente;

       soggette al censo tipico e caratteristico delle svaighe di cultura agraria bavarese, e solo per esse, di 300 caciotte l’anno, corrispondenti a circa 150 – 180 kg attuali;

       che videro la loro massima diffusione nel XIV secolo

       e che a partire dalla seconda metà del XIV secolo iniziarono un rapido declino economico in seguito alla mutata congiuntura economica ed alle diverse condizioni di smercio di prodotti caseari sul mercato.

Le signorie, sotto la cui organizzazione viene compiuta l’opera di dissodamento, si rendono ben presto conto che la fondazione di una SVAIGA è un proficuo investimento in quanto aumenta il valore di un terreno precedentemente incolto e lo trasforma in un possibile oggetto di scambio, mettendo in circolazione denaro e ricchezza. Il canone che il contadino deve corrispondere al Signore viene pagato sotto forma di una caciotta di formaggio, del peso di circa 500 grammi al giorno; questa viene poi proficuamente immessa sul mercato. I nobili del Tirolo pongono probabilmente in questo periodo le basi materiali delle loro ambizioni di potere. Non a caso, fin da principio, sono tra le casate alle quali appartiene il maggior numero di svaighe. 

LE SALINE

Ritornando all’epoca di Mainardo II, tra le fonti di ricchezza più importanti della contea, più che le miniere bisogna annoverare le saline di Hall, nei pressi di Innsbruck. Il sale nel Medioevo era fondamentale per la conservazione della carne. Mainardo fece migliorare l’impianto, chiamando personale specializzato.

L’acqua veniva portata a valle tramite una complessa rete di canalizzazione. Essendo come un’azienda di proprietà privata, i suoi proventi affluivano direttamente nelle casse del principe. 

ACQUISTO DELLE PROPRIETA’  NEMICHE

Il suo sforzo economico è anche rivolto all’acquisto volontario o forzato, delle proprietà dei casati nemici. L’obbiettivo politico rimane quello di indebolire la nobiltà locale, togliendole le basi materiali della loro opulenza.

Decine di stirpi subiscono, in questo modo beffardo, la dissoluzione del proprio patrimonio e, con essa, l’oblio. In 40 anni, il patrimonio finanziario dei Tirolo viene pressoché raddoppiato. 

LE STRADE ED I VALICHI NELLA CONTEA DEL TIROLO 

Le attività commerciali e gli scambi internazionali producono ricchezza, ma richiedono innanzitutto strade, per quanto possibile, non dissestate e sicure e valichi alpini agevoli; ed è appunto ciò che Mainardo, con particolare attenzione considera fin dagli inizi della sua grande avventura. Come si evince, osservando la carta panoramica ZP, i passi alpini che possono facilitare i traffici sono tre. A  Nord – ovest, verso la Svizzera, c’è quello di RESIA a 1504 metri di quota. Da qui, in età romana, passava la Via Claudia Augusta, arteria di vitale importanza per le comunicazioni con le province imperiali del centro e del nord Europa. Transitavano anche orde di barbari, tanto che il valico è stato chiamato JANUA BARBARORUM, ovvero porta dei barbari. Poi è stata la volta dei mercanti e dei pellegrini. Con Mainardo II la vecchia strada consolare è allargata e riassestata, mentre si fa regolare e severissimo il servizio armato di sorveglianza. Volgendosi a nord – est, un altro passo è quello del GIOVO. Il valico si apre, a 2099 metri di quota, tra i monti Sarentini e le Alpi Passirie, e risale anch’esso all’età romana. Da questo passo si può scendere sull’altra valle dell’Isarco, e raggiungere così il terzo e più importante dei valichi tirolesi, quello del BRENNERO. Mainardo II dunque ha attente cure anche per questa strada, soprattutto da quando comincia lo sfruttamento delle non lontane miniere di Monteneve e di Fleres, nei dintorni di Vipiteno. Da esse si estrae l’argento che il conte utilizza massicciamente per fabbricare monete. Infine, il passo del BRENNERO. Numerosi reperti archeologici hanno dimostrato che il valico era attivo già nella preistoria. E’ con la conquista romana, tuttavia, che questa importantissima via di comunicazione consente un transito sicuro e neppure troppo elevato, 1374 metri S.L.M., dalla valle dell’Isarco e quella dell’Inn.

E’ su questi tre percorsi principali che passano le ricchezze del Tirolo, per essere accortamente amministrate e moltiplicate da Mainardo II che, proprio su queste fortune, realizza il suo “sogno”. 

VIAGGI E SPOSTAMENTI NEL XIII SECOLO

Contrariamente a quanto si può immaginare, nel medioevo i viaggi e gli spostamenti sono frequenti. Si muovono i conti, i messaggeri, gli eserciti, i mercanti, gli artigiani, i monaci, i mendicanti, i lebbrosi e naturalmente i briganti. Nel 1200 in Tirolo ci si muove quasi sempre a piedi su strade e sentieri di pessima qualità; soltanto i capi militari, i nobili, i funzionari e i vescovi si spostano a cavallo, di solito con un seguito di soldati. Oltre al cattivo stato delle strade, bisogna fare i conti con l’insicurezza del viaggio (i malviventi sono sempre in agguato) e con l’eccessiva quantità ed onerosità dei pedaggi che vengono richiesti ogniqualvolta ci si reca da un paese all’altro, per attraversare una valle, una città o un ponte o per trasportare delle merci. Per sicurezza si viaggia solo di giorno, cambiando spesso strada. Mainardo II, con alcuni provvedimenti mirati, ovvia a questi tre inconvenienti e diviene così l’unico gestore di tutti i traffici commerciali tra la Germania meridionale e la contea del Tirolo, accumulando in pochi anni una cospicua ricchezza. 

IL SISTEMA DAZIARIO, IL COMMERCIO ED I TRAFFICI 

Nel 1273, con l’elezione di Rodolfo d’Asburgo a re di Germania e a imperatore, riprendono massicciamente i traffici commerciali tra la Germania meridionale e l’Italia settentrionale. Fiutando l’affare, Mainardo II sente l’esigenza di impadronirsi dell’intero sistema daziario, che all’inizio del dominio era ancora soggetto agli anacronismi del sistema feudale. Alcuni nobili possiedono infatti diritti di esazione sulle merci in transito sulle strade che passano per i territori da loro controllati. Mainardo II elimina questi dazi privati e dà il via ad un riordino di tutto il sistema, suscitando unanimi consensi tra i mercanti legati ai transiti commerciali. Tale riassetto, introdotto sull’esempio delle signorie dell’Italia settentrionale, prevede un sistema di riscossione unitario presso stazioni fisse, secondo un tariffario definito per merci e per distanze.

Se in precedenza l’ufficio della riscossione dei dazi era di regola concesso in feudo ereditario , con Mainardo II esso prende la forma dell’appalto. Tra gli appaltatori doganali si annoverano molte persone di origine servile perché danno maggiori garanzie di fedeltà nell’esercizio di una funzione che comporta il maneggio di enormi somme di denaro.

L’assegnazione in appalto è la forma di gestione preferita dal conte perché rappresenta la migliore sintesi possibile tra la necessità di contenere le dimensioni dell’apparato amministrativo e la massimizzazione degli utili. I dazieri imprenditori consegnano al loro Signore un importo annuale corrispondente al reddito globale dei dazi da loro riscossi e si ripagano con gli utili tratti dalla loro attività creditizia che accompagna il loro ufficio e che esercitano in regime di monopolio; sono obbligati tra l’altro a tenere regolari libri contabili. Il valico del Brennero finisce per diventare quello di gran lunga preferito dai mercanti italiani e germanici per i vantaggi che garantisce sia riguardo alla sicurezza delle strade sia in merito alla bassa incidenza delle tariffe daziarie sulle merci in transito. Rispetto ai dazi che vengono prelevati sulla strada Koblenz -Bingen -Ehrenfels, nel Medio Reno (90 km), quelli riscossi sul tratto Bolzano- Innsbruck (130 km), sono inferiori di un sesto!! Così facendo, Mainardo II tiene saldamente in mano le chiavi del Brennero, assumendo il completo controllo sulle attività commerciali della Contea e sui transiti che passano per le sue terre. Introduce l’obbligo di percorrere determinate strade. Solo su di esse garantisce ai mercanti quelle facilitazioni fiscali, quei salvacondotti e quella difesa dagli abusi della feudalità che fanno dell’asse del Brennero una via di transito sicura, perciò frequentata. La manutenzione delle stesse, ed in particolare dei ponti è effettuata sempre con l’efficace metodo dell’appalto. In cambio del servizio, gli appaltatori riscuotono dei modesti pedaggi interni, che i mercanti non pagano malvolentieri. 

TASSE E  TRIBUTI

Le riforme introdotte in questo campo da MAINARDO II (sull’esempio delle Signorie dell’Italia settentrionale) ispirano, molto più tardi quelle attuate nel mondo germanico. Trasformano gli abitanti della Contea in cittadini, sudditi di un unico, riconosciuto e legittimo POTERE CENTRALE, capace di imporre un sistema di tassazione unico e generalizzato. Unifica e riordina il variegato e macchinoso sistema ereditato dal mondo feudale, riconducendo tutti i prelievi a sole due tassazione, una valida per le campagne, l’altra da applicare nelle città. Si produce, ben presto, per merito di una più efficiente politica fiscale, un’oggettiva alleanza tra i cittadini e il Principe volta a contrastare il ritorno del vecchio sistema feudale che è ancora presente nelle strutture amministrative dei Principati Vescovili e nella posizione parassitaria della nobiltà. Il carico fiscale complessivo dei cittadini Svevi ammonta al 3% del loro patrimonio, mentre per quelli Tirolesi corrisponde all’1%. Un’altra, non trascurabile fonte di utili per le casse di Mainardo II è rappresentata da un lato, dalle PENE PECUNIARIE (usate dal Conte come strumento di lotta politica, per demolire legalmente il patrimonio e con esso il potere della nobiltà parassita) e, dall’altro, dai tributi per le prestazioni d’ufficio, relative cioè all’amministrazione della giustizia, ai servizi di cancelleria, alle prestazioni notarili, ecc.). 

LA STRUTTURA AMMINISTRATIVA 

La struttura amministrativa della nuova Contea ed i settori in cui essa è suddivisa, vengono messi in evidenza dal seguente prospetto (vedi FIG. N° 16). 

CANCELLERIA – CAMERA – NOTARIATO

Sotto la pressione della crescente esigenza di certezza giuridica vengono introdotte nella Contea profonde innovazioni nel modo di amministrare e governare.

Per quanto concerne la CANCELLERIA cuore del governo mainardiano, ovvero la struttura nella quale confluiscono tutti i fili del governo della Contea, della quale fanno parte notai e scrivani, MAINARDO II inizia a servirsi sistematicamente della registrazione scritta, sia nella contabilità che nella documentazione. La cancelleria lavora in stretto contatto con la CAMERA PRINCIPESCA, sia nella cura del tesoro, sia nell’amministrazione delle proprietà personali del Conte. La camera rappresenta il centro finanziario e contabile principale della Contea. Al 1274 risale la prima testimonianza di un regolare REGISTRO DELLE TASSE, mentre nel 1282 viene introdotto un REGISTRO FONDIARIO GENERALE che serve per l’amministrazione e la riscossione dei canoni delle vaste e sparse proprietà personali di MAINARDO II e i LIBRI CONTABILI GENERALI.

Verso la fine degli anni 80, inizia la diffusione della più economica e maneggevole CARTA, l’uso della quale riguarda la registrazione ed il disbrigo di tutta la corrispondenza relativa all’amministrazione della corte e all’attività del governo centrale. Inoltre si affrontano e si registrano documenti (compravendite, appalti, cambi di proprietà, testamenti, sentenze di giudizio) per i quali la cancelleria, accanto ai già citati fiorentini, lavorano alcuni tra i più validi ingegni dell’epoca, originari della Carinzia, dal Friuli, dalla Carniola, dalla Baviera, dalla Svevia, dal Veronese. Molti dei responsabili della cancelleria, come il Protonotario Rodolfo di Maissen, avevano studiato nelle migliori università ed erano al servizio del Principe, lautamente retribuiti, non solo come cancellieri ma anche come consiglieri e ministri nei vari settori dell’amministrazione.

La camera di CASTEL TIROLO non è l’unica “cassa” della Contea; vi sono quella di Bolzano/Gries e quella di Stams. Assieme, esse formano il tesoro complessivo di Mainardo II. Con l’intensificarsi della circolazione monetaria, alle casse locali vengono attribuite le funzioni di filiali bancarie decentrate. Debitori e creditori si servono di queste sedi decentrate per versare o ricever somme di denaro, risparmiandosi il viaggio fino alla sede centrale. A partire dagli anni ’90, il sistema si rivela tanto vantaggioso che MAINARDO II decide di introdurre anche qui il sistema d’appalto, affidato a impresari “borghesi” che vengono scelti tra persone di condizione servile. A Castel Tirolo (vedi FOTO G) viene tenuta la contabilità complessiva assieme ai libri contabili e ai registri fondiari generali.

Il vecchio sistema, che contava tutta una gerarchia di incarichi ereditari, detenuti in feudo dai rappresentanti delle varie famiglie nobiliari subisce così una trasformazione radicale. 

IL CONSIGLIO DI CORTE

Mentre nel Consiglio di Corte dei grandi principati germanici facevano parte di diritto la feudalità laica e religiosa, con Mainardo II la nobiltà viene rigorosamente esclusa. Le persone dei cui consigli si avvale, non esercitano, in questa loro funzione, alcun diritto. Semplicemente, essi godono della fiducia del conte, basata sulla loro competenza. Egli, autocraticamente, mantiene sempre la più ampia liberta di azione e di decisione. 

IL MAESTRO DI CORTE

La persona che esercita la funzione di maestro di corte può essere paragonato ad un capo di stato. Esso regola l’andamento dei servizi della corte e il corso delle attività di governo. Riceve gli ospiti e gli ambasciatori, decide sull’ammissione o meno alle udienze con il signore ed è a capo del protocollo cerimoniale.

Regista dell’intera attività della corte si serve di propri scrivani ed aiutanti. Rappresenta il Signore anche verso l’esterno e ne fa le veci in sua assenza. Presiede il TRIBUNALE DI CORTE, preposto a risolvere le controversie tra nobili ed amministra la giustizia. 

LE INNOVAZIONI DEL SISTEMA DIFENSIVO – MILITARE 

Il sistema difensivo e militare feudale poggiava sulla cavalleria. Il castello, in quanto residenza del cavaliere, oltre ad essere il punto di riferimento territoriale del sistema militare, è chiamato a svolgere anche la funzione di centro di controllo sui territori e sulle vie di comunicazione circostanti. E del tutto ovvio che i nobili dotati di un certo potere (leggi ricchezza) tendono a dotarsi di un proprio maniero che rappresenta, nel contempo, il simbolo del prestigio raggiunto ed il luogo dove, il potere, viene esercitato. Accanto a fortilizi con funzioni prettamente militari, sorgono dei castelli adibiti a residenza delle varie casate nobili. Le relative funzioni organizzative all’interno sono domandate a persone di origine nobile, in eredità. L’edificazione di nuovi castelli è soggetta al consenso del potere centrale. Così, nei territori alpini, tale privilegio (JUS EDIFICANDI) era appartenuto ai Principi Vescovi di Trento e Bressanone. Già il conte Alberto di Tirolo e Mainardo I lo avevano usurpato ai Vescovi. A maggior ragione Mainardo II esercita questa facoltà in maniera esclusiva.

Il controllo su tutto il sistema difensivo e militare,  imperniato sui castelli è una delle condizioni decisive per il successo della sua politica di SPOLIAZIONE del potere temporale della Chiesa e per la riuscita della sua spietata lotta contro i suoi antagonisti feudali. Mainardo II dunque, inizia la sistematica demolizione di ogni potere militare autonomo ed esterno al suo controllo, sottraendo nel contempo gli uffici, le esenzioni e i privilegi detenuti a qualsiasi titolo dalle varie casate in relazione al possesso di qualche castello. Inizia poi a riorganizzare il sistema difensivo e militare, insediando capitani e truppe mercenarie a presidio dei vari castelli di cui andava via via assumendo il controllo.

Il nuovo sistema, basato sull’assegnazione delle funzioni militari difensive a mercenari è compatibile con i progressi dell’arte della guerra che esigono una specializzazione ed una perizia tecnica garantite solo da soldati professionisti. La spietata lotta alla nobiltà e l’insediamento di guerrieri prezzolati, rigidamente sottomessi al potere centrale sono volti all’eliminazione di ogni forma di disturbo rappresentata dagli anacronismi del particolarismo feudale, nella fattispecie dei mercanti che percorrevano le strade poste ai piedi dei loro manieri. Anche le città sono integrate da Mainardo II nel sistema difensivo. Il regime cui esse erano state soggette in precedenza era analogo a quello che vigeva nei castelli basato sulla attribuzione in feudo ereditario delle varie funzioni in cui era articolata la difesa. Come per i castelli, il conte si sbarazza delle feudalità parassita e sottomette le città agli ordini di un capitano mercenario. 

D) EVO MODERNO

PREMESSA

Il Sudtirolo, come abbiamo visto, è una terra di confine, ma tuttavia ancorata all’area culturale germanica. Nel 1363, la Contea del Tirolo, prima indipendente, passa sotto la più grande dinastia  europea, quella degli Asburgo (NB: il nome corretto di questa stirpe è Absburgo, derivando dall’appellativo del castello di Habichtsburg, sito nell’Argovia, nell’odierna Svizzera) e da allora in poi viene a far parte dell’Austria.

Solo nel 1806, quando Napoleone diviene il dominatore d’Europa, il paese è assegnato alla Baviera, alleata dei Francesi. Ma nel 1814 il Tirolo si riunisce nuovamente all’Austria, rimanendone incorporata sino al termine del primo conflitto mondiale, nel 1919. 

GLI EVENTI CRUCIALI DEL XX SECOLO 

A) 1914 – scoppia la I guerra mondiale 

B) 26 aprile 1915

    il voltafaccia dell’Italia

Le premesse decisive per lo smembramento del Tirolo dell’Austria e la sua annessione all’Italia vengono poste nel 1915. Il 26 APRILE di quell’anno l’Italia firma un patto segreto col quale si impegna a ritrattare la TRIPLICE ALLEANZA con l’Austria -  l’Ungheria e la Germania e ad entrare in guerra, entro un mese, al fianco della TRIPLICE INTESA, costituita da Francia, Inghilterra e Stati Uniti; i nuovi alleati promettono all’Italia, in cambio di quel voltafaccia ed in caso di vittoria nel conflitto, l’acquisizione di Trieste, il Friuli Orientale, l’Istria, la Dalmazia, il Trentino ed il Sudtirolo fino al Brennero.

Il passaggio definitivo della regione alpina all’Italia viene sanzionato del TRATTATO DI SAINT GERMAIN, il 10 settembre 1919. Ma col sudtirolo l’Italia si annette un territorio abitato in gran maggioranza da una popolazione di lingua tedesca. Le potenze vincitrici agiscono in aperto contrasto con i “QUATTORDICI PUNTI” del Presidente americano WOODROW WILSON; egli dichiara che il fondamento di una pace duratura è l’autodecisione dei popoli, ma ai sudtirolesi questa viene platealmente negata. Inoltre, al punto 9, si stabilisce espressamente che i nuovi confini dell’Italia devono essere tracciati sulla linea di demarcazione chiaramente riconoscibile fra le nazionalità; tale linea non può essere che il confine linguistico alla Chiusa di Salorno – Salurn. Incorporandosi il Sudtirolo l’Italia rinnega anche i principi delle sue guerre d’indipendenza; le sacre leggi del Risorgimento esigono che i confini statali coincidono con i confini linguistici e che nessuna etnia deve far parte di uno Stato straniero contro la sua volontà. 

C) 3 novembre 1918

Nella VILLA GIUSTI (vedi FOTO H) di Abano, presso Padova, l’Italia e l’Austria – Ungheria firmano l’armistizio.

Quattordici firme (vedi FOTO I) tra cui quelle del Presidente della commissione italiana, il tenente Generale Pietro Badoglio e del capo della commissione austriaca, generale Weber von Webenau sanciscono la fine della      

I guerra mondiale.

Subito dopo inizia, pacificamente, l’occupazione del Trentino e del Sudtirolo da parte del Regio Esercito Italiano. 

D) 10 ottobre 1920

L’Italia, con un’apposita legge, incorpora il Sudtirolo. 

E) 24 aprile 1921

    La domenica di sangue, a Bolzano

La mattina del 24 aprile giungono in treno a Bolzano 280 fascisti delle vecchie province, ai quali se ne uniscono 120 del fascio locale. Aggrediscono e picchiano con i manganelli, a caso, i partecipanti ad un corteo folcloristico per l’inaugurazione della fiera Campionaria di Bolzano. L’evento assume un significato particolare, perché, nello stesso giorno si tiene, nel Nordtirolo, un referendum per l’eventuale sua annessione alla Germania. I fascisti subodorano una connessione del corteo col referendum e considerano la sfilata nei costumi tradizionali una provocazione, perciò decidono di disperdere la manifestazione, non prima di aver ucciso FRANZ INNERHOFER, maestro di Marlengo (Merano) (vedi FOTO L).

F) 1 ottobre 1922

La marcia su Bolzano

Alcune squadre fasciste sfilano a Bolzano e Trento guidate da esponenti di punta del movimento, fra i quali Giunta e Storace.

Poche settimane dopo il 28 ottobre 1922 i fascisti marciano su Roma e BENITO MUSSOLINI (vedi FOTO M ) si impadronisce del potere. 

G) 15 luglio 1923

ETTORE TOLOMEI tiene un discorso a Bolzano proclamando i suoi famigerati “PROVVEDIMENTI PER L’ALTO ADIGE”. In 32 punti (vedi TABELLA A2) viene esposto il progetto di snazionalizzazione della minoranza sudtirolese mediante un processo di assimilazione. E’ il primo tentativo del regime fascista per cancellare il carattere etnico delle popolazioni e del territorio. 

ETTORE TOLOMEI: CHI E’ COSTUI?

Ettore Tolomei (vedi FOTO N) nasce a Rovereto, in provincia di Trento nel 1865, da genitori italiani. Il suo nome percorre come un ossesso, la storia del Sudtirolo negli anni venti e trenta. “Voglio rendere italiana questa terra, costi quel che costi”. Il programma politico di Tolomei, ha questo unico obiettivo. Dopo aver frequentato il ginnasio liceo a Rovereto, inizia, nel 1890, la sua campagna per l’incorporamento del Sudtirolo con l’uscita del primo numero del settimanale “La nazione italiana”, di cui è iniziatore e coeditore. Lo scopo principale del periodico è la divulgazione delle idee culturali, irredentistiche e nazionalistiche della Società Dante Alighieri.

Nel dicembre 1890 “La nazione italiana” cessa la pubblicazione a causa di un dissesto finanziario.

Nel 1906 Tolomei fonda a Trento “L’Archivio per l’Alto Adige”, un nuovo periodico dove pubblica articoli con i quali tenta di accreditare la pretesa italiana sul Sudtirolo. E’ proprio nell’Archivio che Tolomei inventa la cosiddetta TEORIA DELLO SPARTIACQUE, secondo la quale il confine tra l’Italia e l’Austria deve essere fissato al Brennero, perché lì si trova lo spartiacque tra il Mediterraneo ed il Mar Nero.

Ma il grande momento di Tolomei non è ancora arrivato.

Giunge quando Mussolini, salito al potere nell’ottobre del 1922, lo nomina senatore a vita.

L’attuazione del programma, nel tempo, viene realizzata in due fasi: la prima dal 1923 al 1926 e la seconda dal 1927 in poi. 

H) 1922 – 1938.

    La politica fascista nel sudtirolo 

Già nell’Aprile del 1923, Tolomei comincia ad italianizzare ben 17000 toponimi tedeschi, alcuni dei quali facendoli derivare dall’antico nome latino (ad es. Bolzano da Bauzanum), altri traducendoli per assonanza (ad es. Montagna per Montan) o inventandoli (ad es. la Villa per Stern). In alcuni casi il traduttore se la cava con il nome della parrocchia, come San Candido per Innichen. Tutto ciò viene imposto dal regime fascista, a dispetto della lingua e della storia. 

Nell’agosto del 1923, il Prefetto di Bolzano Guadagnini, proibisce l’uso del nome TIROL e di tutte le denominazioni derivate, quali TIROLER, SÜDTIROLER etc. 

Ma, se si vuole snazionalizzare una minoranza la prima cosa da fare è togliergli la lingua. A tal proposito i fascisti procedono con misure strategiche ben finalizzate. Particolare attenzione viene dedicata da Tolomei all’italianizzazione della scuola tedesca; tramite le leggi Corbino (1921) (vedi FOTO O) e Gentile (1923) (vedi FOTO P), l’italiano diventa l’unica lingua d’insegnamento nella scuola. Ma i sudtirolesi, temendo di perdere una parte importante della loro identità etnica, fanno resistenza e danno vita, con il sostegno economico di Austria e Germania, alle SCUOLE DELLE CATACOMBE, così chiamate perché site nelle case, nei fienili, nelle soffitte e nelle cantine. Il canonico MICHAEL GAMPER (vedi FOTO Q) diviene l’organizzatore e l’anima spirituale di queste scuole clandestine dove vengono insegnati il tedesco e le tradizioni locali. I maestri sono sempre esposti al pericolo di essere scoperti ed arrestati.

Grazie al coraggio e alla solidarietà di molti, le autorità fasciste non riescono ad eliminare la scuola tedesca segreta che cessa nel 1940, quando l’uso della lingua tedesca viene nuovamente ammessa ufficialmente. 

Il 10 gennaio 1926 un decreto impone l’italianizzazione di cognomi tedeschi.

Tolomei è dell’avviso che l’Italia fascista abbia il diritto di “modificare” i nomi di famiglia tedeschi, perché gli abitanti originari di queste terre sono stati i romani che hanno dato al Sudtirolo la prima impronta culturale.

La memoria storica di Tolomei si dimostra, in queste circostanze, assai corta. Non vuole prendere atto del fatto che il Tirolo, prima dei Romani, è popolato da ILLIRI e CELTI. L’attuazione concreta del decreto sulla italianizzazione dei cognomi tedeschi ha inizio nell’estate del 1926. A 6000 di essi viene “restituita” la forma italiana.

Tolomei, in molti casi, li traduce letteralmente, per esempio GRUBER diventa DALLA FOSSA, mentre, in altri, aggiunge un suffisso italiano, una “o” , una “i”, una “a”, per cui il cognome FINK diventa FINCO.

Negli anni 34 – 35 Tolomei pubblica il suo “REGISTRO DEI COGNOMI” (vedi TAB. A3) e lo rende disponibile alle autorità fasciste. 

Oltre ai giornali austriaci e tedeschi anche la stampa tedesca nel Sudtirolo esprime apertamente il proprio sdegno sulle azioni violente dei fascisti. La reazione delle autorità non si fa attendere. Il sottoprefetto di Bolzano Vitorelli, introduce nel gennaio 1925, la censura preventiva per tutti i giornali tedeschi. Il provvedimento colpisce i quotidiani “LANDMANN”, “BOZNER NACHRICHTEN” e “MERANER ZEITUNG” nonché il settimanale “VOLKSBOTE” il cui direttore, Michael Gamper viene incolpato di esposizione tendenziosa anti-italiana, mirata ad impedire la fraternizzazione  tra i due popoli del Sudtirolo. Dopo il secondo avvertimento, nel luglio 1925, vengono chiusi il “LANDMANN” assieme al “BRIXNER CHRONIK” e al “BOZNER NACHRICHTEN”. Nel 1926, il prefetto Guadagnini dispone la chiusura del “VOLKSBOTE”, del “VOLKSBLATT”, del “BURGGRÄFLER” e del “MERANER ZEITUNG”. Su tali provvedimenti si cela l’intento dei fascisti di far uscire un proprio quotidiano in lingua tedesca. Il progetto viene attuato nel marzo del 1926, quando esce il primo numero del giornale fascista “ALPENZEITUNG”. Il  22 aprile 1927 inizia le pubblicazioni l’organo ufficiale del partito fascista dell’Alto Adige “LA PROVINCIA DI BOLZANO”. Intanto, il canonico Gamper, appoggiato dai vescovi di Bressanone e di Trento, riesce  ad ottenere la riammissione del “VOLKSBOTE” e la stampa del nuovo giornale “DOLOMITEN” i  cui contenuti, sottoposti a severa censura, devono essere concilianti verso il regime. 

IL MASO CHIUSO

L’impronta caratteristica del Sudtirolo è l’insediamento di tipo sparso. Da molti punti del fondovalle, il versante esposto al sole, appare inframmezzato da molte isole disboscate e coltivate, ove si trova pure la casa del contadino; questi siti di tipo sparso, sono, quasi sempre occupati da masi.  Nel Tirolo per MASO (vedi FOTO R) si intende una piccola azienda agricola che comprende, la casa, la stalla, il fienile, il granaio, il forno, il  mulino, i campi e i pascoli. Il maso si definisce chiuso, quando non può essere frazionato bensì trasmesso, in eredità ed in blocco, da parte del proprietario, ancora in vita, al solo figlio primogenito. Questo sistema intende mantenere integra l’unità, la continuità, la produttività dell’azienda, evitando l’eccessiva frammentazione della proprietà terriera. La prima legge su questo argomento,promulgata da Maria Teresa d’Austria, nel 1770, identifica il “maso chiuso” come un’azienda agricola dotata di terreno necessario e sufficiente al mantenimento di una famiglia composta da 5 a 20 persone.

Alla morte del proprietario il primogenito, che eredita il maso, deve liquidare, in denaro, i coeredi, senza intaccare la proprietà. Questa legge, subisce, col tempo delle innovazioni. Una delle più importanti è la facoltà concessa al padre, di scegliere l’erede fra tutti i figli. 

Tolomei è dell’avviso che si può ottenere una salda e duratura assimilazione di un popolo, fondando gruppi coloniali nei settori dell’agricoltura e dell’industria. Spalleggiato dal regime fascista, decide di distruggere il ceto contadino autoctono applicando i seguenti, mirati, provvedimenti: 

Ø                 Nel 1929 viene abrogata la legge tirolese del MASO CHIUSO o del MAGGIORASCO. Spezzettando i poderi, si cerca di minare l’economia dei contadini tedeschi e di fiaccare così il ceto più vitale ed importante della popolazione locale.

Ø                 Si istituisce l’Ente di Rinascita Agraria per le Tre Venezie (ERA) col compito di acquistare dai contadini indigeni masi e terreni; messi in vendita sia a causa degli avvenuti frazionamenti, sia per la grave crisi economica verificatasi. L’intenzione è, da un lato, quella di comprare, con l’aiuto di prestiti concessi da banche veneziane, il maggior numero di proprietà terriere, onde favorire l’immigrazione di colonie italiane e dall’altra quella di “penetrare” le zone abitate dalla popolazione di stirpe germanica, alterando, a medio termine, il rapporto demografico tra tedeschi e italiani nel Sudtirolo, a favore di quest’ultimi.

Ma i fascisti, non raggiungono il loro scopo, perché i contadini restarono fedeli alla consuetudine del Maso Chiuso. Fino alla reintroduzione della vecchia legge, col Primo Statuto di autonomia del 1948, dei 12000 masi chiusi sudtirolesi, risultano suddivisi solo il 6,2%. Iniziative personali degli agricoltori stessi ed aiuti economici austriaci impediscono la svendita di un maggior numero di aziende. 

Nonostante i numerosi provvedimenti presi, Tolomei non riesce a fare dei sudtirolesi degli italiani. Cambia allora strategia. La politica della assimilazione viene cambiata con grande determinazione, puntando su quella dell’immigrazione.

Il nuovo obiettivo è questo:

“Bolzano deve diventare una città con centomila abitanti”, italiani, ovviamente. Già nel 1926, il reparto chimica della Montecatini SPA costruisce, presso il Rio Sinigo, alle porte di Merano, un grosso stabilimento industriale per la produzione di fertilizzanti chimici e, nelle vicinanze, sorge il “Borgo Vittoria” per alloggiarvi gli operai immigrati italiani. A questo stabilimento di origine fascista non se ne aggiungono altri sino al 1936. Infatti le cose cambiano radicalmente, quando, nel settembre del 1934, con regio decreto, si pone la base per lo “sviluppo industriale di Bolzano”. Lo stesso Mussolini contatta i più alti esponenti dell’economia italiana, informandoli sui progetti governativi ed, assicurando notevoli agevolazioni fiscali nonché sovvenzioni statali a coloro i quali sceglievano Bolzano per impiantavi delle aziende industriali.

Creando una zona industriale e dando lavoro a molti operai immigrati italiani (provenienti dalla Lombardia, dal Friuli e specialmente dal Veneto) si vuole cambiare il rapporto numerico fra la popolazione originaria e quella immigrata, a favore di quest’ultima. Nella tarda estate del 1935, le ruspe iniziano il lavoro di demolizioni dei frutteti a sud della città, ad Agruzzo (vedi FOTO S), nonché dei frutteti tra l’Isarco e la linea ferroviaria Bolzano – Verona. Sono ingoiati oltre 300 ettari di terreno, distrutti oltre 50000 alberi da frutta e migliaia di viti pregiate. Molti contadini perdono così la base della loro esistenza. Le prime aziende che iniziano l’attività sono: la “Alumetal” della Montecatini, una fabbrica della Feltrinelli, la Società Italiana per il Magnesio, le Acciaierie di Bolzano del Gruppo Falck, le carrozzerie Viberti, la Lancia Veicoli Speciali di Torino. Per le maestranze e le loro famiglie si costruiscono grandi caseggiati sulla riva destra dell’Isarco ed una quantità di casette per quattro famiglie assieme a scuole e chiese. Con l’inizio dell’attività produttrice, nella zona, incomincia anche la massiccia immigrazione dalle vecchie province italiane. La città, nel 1937, aumenta di oltre 7000 persone per raggiungere le 100000 unità nel 1967.

Con l’impianto della zona industriale, da considerare il vero motore per l’italianizzazione del Sudtirolo, il fascismo lascia un’eredità che estende il suo influsso in quasi tutte le sfere della vita fino oltre la seconda guerra mondiale (1939 – 1945). 

Nel gennaio del 1933 Hitler sale al potere. La Germania diventa nazista. Egli, nel proprio programma prevede di ricondurre in patria tutti gli appartenenti alla stirpe tedesca all’estero; infatti, nel 1935 la Saar e nel 1936 l’Austria, vengono annesse al REICH tedesco. Molti sudtirolesi, visti tali avvenimenti, sperano che presto anche il Sudtirolo sia ricordato in patria. In realtà Hitler è stanco del problema sudtirolese che può danneggiare gli ottimi rapporti esistenti tra i due stati. Il suo vero ed unico obiettivo è quello di una radicale, amichevole e definitiva soluzione del contenzioso che consiste nella trasmigrazione dei sudtirolesi. Quello che l’assimilazione non ha conseguito e che può essere risolto a medio termine mediante il raggiungimento di una maggioranza italiana, ora si spera di conseguirla attraverso l’eliminazione del potenziale pomo della discordia.

Il 23 giugno del 1939 si sigla a Berlino nella sede della GESTAPO (polizia segreta di stato), fra le due delegazioni, fascista e nazista, il cosiddetto “ACCORDO PER LE OPZIONI” ; nella Prinz-Albrecht-Strasse le luci si spengono solo a tarda notte. Per i tirolesi inizia veramente il crepuscolo degli dei. OPZIONE SIGNIFICA SCELTA. Formalmente significa, che i sudtirolesi POSSONO SCEGLIERE TRA IL RIMANERE IN PATRIA O L’EMIGRAZIONE VERSO IL REICH TEDESCO. Il termine fissato per l’opzione è il 31 dicembre 1939. L’espatrio si doveva concludere entro la fine del 1942. Per i sudtirolesi l’opzione è una prova drammatica. LA POPOLAZIONE CHE FINO ALLORA È  STATA CONTRO I FASCISTI, SI SPACCA IN DUE. I “DABLEIBER” o restanti e gli “OPTANTEN” o partenti. Alla scadenza del termine, l’ 8% della popolazione decide per l’emigrazione. Come mai un popolo così legato alla propria terra è disposto a cambiare la propria HEIMAT (patria) per un’altra ignota oltre lo spartiacque ? Le ragioni sono molteplici. Molti optanti considerano che, per loro, in Sudtirolo, non c’è più futuro, fin tanto che permane il regime fascista. La nuova HEIMAT può dunque esistere solo nel REICH tedesco, il cui confine meridionale raggiunge il valico del Brennero. Portavoce e forza motrice degli OPTANTEN è il VKS (VÖLKISCHER KAMPFRING SÜDTIROLS).

Questo movimento, di chiara ideologia nazionalsocialista intravede, con l’ emigrazione, una possibilità di salvare il carattere  Etnico dei Sudtirolesi. Hitler promette loro una nuova HEIMAT da individuarsi nel Burgenland austriaco, nella Boemia o persino nella penisola della Crimea!!!

Al contrario, i DABLEIBER che si sono riuniti in un altro movimento, il DEUTSCHER VERBAND, attorno al canonico MICHAEL GAMPER, danno alla straziante situazione, una valutazione diversa da quella del VKS. Essi non si fidano delle promesse di Hitler circa una zona di colonizzazione unitaria al di là del Brennero. Pertanto consigliano di non lasciare la propria terra per nessuna ragione in attesa di un cambiamento della situazione politica in Germania e in Italia. Agli occhi di MICHAEL GAMPER, HITLER e MUSSOLINI  sono dei pazzi politici affetti da megalomania, il cui dominio non sarebbe durato a lungo. Il canonico viene sostenuto nelle sue convinzioni e nelle sue lotte contro l’emigrazione da gran parte del clero sudtirolese, mentre il Principe Vescovo di Bressanone JOHANNES GEISLER, opta per il REICH tedesco. Dopo il 31 dicembre 1939, si avvia la grande andata di trasmigrazione. In continuazione i treni, con a bordo gli optanti, passano per il Brennero (vedi FOTO T). Molti di loro si trasferiscono nel NORDTIROLO e nel VORARLBERG. Al 30 giugno 1942 il numero dei Sudtirolesi espatriati rappresenta il 30 % dell’intera popolazione. Dopo questa data la trasmigrazione si arresta a causa della II guerra mondiale.

Se a Hitler e Mussolini i conti fossero tornati, oggi, nel Sudtirolo, non ci sarebbero stati più né tedeschi, né  ladini; il problema sarebbe stato risolto definitivamente. Però così non fu. 

L’Italia, a fianco della Germania, entra nella II Guerra Mondiale. 

Benito Mussolini viene destituito. 

Termina la II Guerra Mondiale. 

A Bolzano, nella VILLA MALFÉR, un gruppo di sudtirolesi fonda la SÜDTIROLER WOLKSPARTEI, un partito popolare avente come meta prioritaria l’autodeterminazione, ovvero l’annessione del Sudtirolo all’Austria. Come presidente viene nominato Erich Ammon, commerciante bolzanino. 

A Parigi viene stipulato “l’accordo De Gasperi – Gruber” (vedi FOTO U) che consta di 3 articoli:

ART. 1 Gli  abitanti di lingua tedesca della provincia di Bolzano e quelli dei vicini comuni bilingui della provincia di Trento, godranno di completa eguaglianza di diritti rispetto agli abitanti di lingua italiana, nel quadro delle disposizioni speciali destinate a salvaguardare il carattere etnico e lo sviluppo culturale ed economico del gruppo di lingua tedesca. In conformità dei provvedimenti legislativi già emanati o emanandi, ai cittadini di lingua tedesca sarà in particolare concesso:

A)    l’insegnamento primario e secondario nella loro lingua;

B)     l’uso, su di una base di parità, della lingua tedesca e della lingua italiana nelle pubbliche amministrazioni, nei documenti ufficiali, come pure nella nomenclatura topografica bilingue;

C)     il diritto di ristabilire i nomi di famiglia tedeschi che siano stati italianizzati nel corso degli ultimi anni;

D)    l’eguaglianza di diritti per l’ammissione a pubblici uffici, allo scopo di attuare una più soddisfacente distribuzione degli impieghi fra i due gruppi etnici.

ART. 2 Alle popolazioni delle zone sopraddette sarà concesso l’esercizio di un potere legislativo ed esecutivo autonomo, nell’ambito delle zone stesse. Il quadro nel quale detta autonomia sarà applicato sarà determinato, consultando anche elementi locali rappresentanti la popolazione di lingua tedesca.

ART. 3 Il governo italiano, allo scopo di stabilire relazioni di buon vicinato tra l’Austria e l’Italia, s’impegna, dopo essersi consultato con il governo austriaco, ed entro un anno dalla firma del presente trattato.

A)    A rivedere, in spirito di equità e di comprensione, il regime delle opzioni di cittadinanza, quale risulta dagli accordi Hitler – Mussolini del 1939;

B)     A concludere un accordo per il reciproco riconoscimento della validità di alcuni titoli di studio e diplomi universitari;

C)     Ad approntare una convenzione per il libero transito dei passeggeri e delle merci tra il Tirolo settentrionale e il Tirolo orientale, sia per ferrovia che, nella misura più larga possibile per strada;

D)    A concludere accordi speciali tendenti a facilitare un più esteso traffico di frontiera e scambi locali di determinati quantitativi di prodotti e di merci tipiche fra l’Austria e l’Italia. 

Il patto Degasperi – Gruber – stipulato il 5 settembre 1946- va agli atti come “allegato” al trattato di pace. Ciò costituisce, di fatto, un primo effettivo momento di internazionalizzazione del problema legato all’autonomia altoatesina che, dal patto, trae la sua origine e la sua motivazione giuridica antecedente, ovviamente, a quella che sarà successivamente riconosciuta dall’Articolo 6 della Costituzione che garantisce la tutela delle minoranze linguistiche esistenti in Italia.

Di fatto al diritto di autodecisione o autodeterminazione di questo popolo viene sostituito il diritto di amministrarsi autonomamente.

Paragonando il Sudtirolo ad un condominio, è necessario, per garantire una buona convivenza tra gli inquilini italiani, sudtirolesi e ladini, elaborare un apposito regolamento. Questo regolamento è lo STATUTO DI AUTONOMIA formulato e promulgato dal governo di Roma, ma d’intesa con i rappresentanti politici del Sudtirolo. 

Entra il vigore la Costituzione dell’Italia repubblicana; l’Alto Adige con la Provincia di Trento forma la Regione Autonoma Trentino – Alto Adige. 

L’Assemblea costituente italiana approva il “I STATUTO di AUTONOMIA” della Regione Trentino – Alto Adige. Ma secondo i suditirolesi, questa autonomia, non corrisponde affatto allo spirito dell’Accordo di Parigi, poiché non è circoscritta al Sudtirolo, ma viene estesa alla regione Trentino – Alto Adige che ha come capitale  amministrativa Trento, costituita, per i due terzi, da abitanti italiani.

Essendo nella regione una minoranza, i sudtirolesi vengono brutalmente esclusi dai vantaggi assicurati loro dall’Accordo De Gasperi – Gruber. Gli investimenti vengono quasi sempre fatti nel Trentino ed i Sudtirolesi restano a bocca asciutta. Gli anni seguenti sono perciò assai spiacevoli per loro, considerando che, continuava la massiccia immigrazione, prevalentemente delle province meridionali; avviene una evidente discriminazione degli originari nell’assegnazione di posti del servizio pubblico e delle abitazioni dell’edilizia popolare agevolata. Il 90% degli appartamenti sovvenzionati dalla mano pubblica viene messo a disposizione di famiglie italiane. 

Muore, nella sua tenuta di Glen, a 86 anni, Ettore Tolomei, l’ideatore delle misure per l’annientamento del germanesimo nel Sudtirolo. 

L’esperimento autonomistico iniziato col I STATUTO è in crisi. I sudtirolesi sostengono che l’autonomia  regionale non garantisce i loro diritti. La soluzione che si prefissano è l’autonomia provinciale. 

NASCE IL TERRORISMO

L’atteggiamento provocatorio del Governo Italiano finisce per provocare reazioni di stampa terroristica. La storia di questi attentati si può suddividere in due fasi: la prima, in cui si segue il principio di non mettere in pericolo nessuna vita umana, giunge fino a circa il 1961; nella seconda fase ci sono vittime, feriti e gravi danni materiali. I primi attentati avvengono nel settembre del 1956 a Bolzano contro la caserma OTTO HUBER e contro la linea aerea di contatto della ferrovia a Settequerce, presso Bolzano; i responsabili sono sudtirolesi delusi dalla politica della SVP ed organizzati nel BAS cioè il  COMITATO DI LIBERAZIONE DEL SUDTIROLO. 

IL RADUNO DI CASTELFIRMIANO (SCHLOSS SIGMUNDSKRON)

I tentativi di migliorare la gestione autonomistica sono, per il momento, falliti.

Una violenta protesta viene promossa dalla SVP alla notizia che il governo ha stanziato una somma di 2,5 miliardi per 5000 appartamenti nel Sudtirolo, nell’intento di agevolare nuovi insediamenti della popolazione italiana.

Nella primavera del 1957, avviene nella SVP un cambio della guardia: i moderati sono detronizzati e viene nominato come leader del partito, dalla corrente radicale, SILVIUS MAGNAGO, che intende prendere una posizione più dura contro la politica dilatoria (=che ritarda) ed ostruzionista di Roma.

Dieci giorni più tardi, la commissione della SVP decide di esprimere la sua indignazione, invitando a Castelfirmiano, per una grande manifestazione, presso Bolzano, tutti i sudtirolesi. Silvius Magnago (vedi FOTO V) parla davanti a 35000 persone. Il nuovo slogan (vedi FOTO Z) è LOS VON TRIENT, cioè “via da Trento”. Proclama: non vogliamo nessuna autonomia insieme ai trentini, perché questa, in forza dell’Accordo di Parigi, spetta soltanto ai sudtirolesi. 

A Glen, presso EGNA, avviene un’attentato contro la casa di Ettore Tolomei; la carica esplosiva, sistemata da JOSEF FONTANA, apre nel muro uno squarcio di 2 metri e scoperchia metà del tetto. 

La serie degli attentati raggiunge il culmine nella notte che entra nella storia del Sudtirolo come “NOTTE DI FUOCO” (vedi FOTO J). Saltano in aria ben 37 tralicci dell’alta tensione dislocati in tutta la provincia. Questo triste episodio dà il via ad una nuova ondata di azioni dinamitarde. 

Su proposta del Ministro degli Interni MARIO SCELBA, il Governo italiano istituisce la cosiddetta COMMISSIONE DEI 19, composta da 11 italiani e 8 sudtirolesi nell’intento di sbloccare una situazione divenuta insostenibile. Essa deve esaminare i problemi da tutti i punti di vista e poi sottoporre al Governo proposte per risolverli. Tale commissione presieduta dal socialdemocratico PAOLO ROSSI è di fatto l’ispiratrice di una serie di proposte che in seguito portano alla formazione del PACCHETTO: un insieme di misure o provvedimenti che saranno alla base della nuova autonomia. 

La commissione dei 19 conclude i lavori e presenta al governo un “pacchetto” di 110 misure a favore delle popolazioni Sudtirolesi. 

IL “PACCHETTO”

A Merano, nel salone del KURHAUS, viene convocato a porte chiuse un congresso straordinario della SVP, al quale SILVIUS MAGNAGO propone l’accettazione del cosiddetto PACCHETTO, ovvero una serie di competenze che il Governo di Roma è disposto a concedere alla provincia autonoma di Bolzano.

All’interno di esso, molte competenze, vengono devolute da Trento alla Provincia Autonoma di Bolzano. I poteri non sono più nelle mani della maggioranza italiana ma passano, per buona parte, a quella tedesca per salvaguardare le sue peculiarità etniche e culturali.

Decidere se accettarlo o meno spetta al SVP, poiché costituisce il partito che rappresenta i diritti e gli interessi della massima parte della popolazione, la corrente politica legittimata per 30 anni dalla libera scelta degli elettori.

Alle 2,30 del mattino lo spoglio delle schede termina e si rende noto il risultato finale: 583 voti a favore del PACCHETTO, 492 contrari, 15 schede bianche. Grazie ad una maggioranza risicata, il PACCHETTO è approvato. Silvius Magnago vince battendo all’interno una forte opposizione, capeggiata dal senatore PETER BRUGGER.

Con l’approvazione del Pacchetto si spiana la via ad un nuovo Statuto di Autonomia più consistente che sostituisce quello del 1948. 

Entra in vigore il nuovo Statuto di Autonomia che, di fatto, realizza il “LOS VON TRIENT” di Castelfirmiano. Nel nuovo quadro le funzioni della Regione sono assolutamente ridotte. Il potere è affidato alle due Provincie Autonome con una maggiore accentuazione per la Provincia Autonoma di Bolzano. A quest’ultima il nuovo Statuto di Autonomia trasmette Competenze primarie e secondarie (vedi TABELLA A4). 

La tomba di Ettore Tolomei è oggetto di un attentato. A quasi mezzo secolo dalla morte, il topografo di Montagna suscita ancora scandalo. 

Alle elezioni provinciali Silvius Magnago, Presidente della giunta di Bolzano, decide di non ricandidarsi per il Consiglio provinciale e passa lo scettro della politica locale all’Assessore all’Agricoltura Luis Durnwalder (vedi FOTO K). 

A Merano il congresso SVP elegge il successore di Silvius Magnago che lascia, dopo oltre trent’anni, la guida del partito. La carica passa al senatore Roland Riz (vedi FOTO W). 

Con il rilascio dello QUIETANZA LIBERATORIA da parte dell’Austria nei confronti dell’Italia (vedi FOTO Y) si conclude formalmente la vertenza tra i due Paesi.

                                                                     GUTE FAHRT SÜDTIROL!!!

BUON VIAGGIO SÜDTIROLO!!! 

APPROFONDIMENTO STORICO A CURA DEL PROF. MARIO RADAELLI

Ringraziamenti             Guarda i costumi del Tirolo               Bibliografia