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3. ITALO
SVEVO
LA VITA
Ettore Schmitz (che assunse, scrivendo, lo pseudonimo di Italo
Svevo, per sottolineare la volontà di conciliare la cultura tedesca e quella
italiana) nacque nel 1861 a Trieste, che apparteneva all'Impero austriaco. Suo
padre, tedesco e israelita, e sua madre, italiana, appartenevano al ceto medio.
Dopo aver studiato per qualche anno in Germania, frequentò scuole superiori di
indirizzo commerciale a Trieste ma, in seguito a un dissesto finanziario della
famiglia, non ancora ventenne dovette impiegarsi in una banca dove lavorò per
vent'anni. Pubblicò a sue spese due romanzi, Una vita e Senilità, che
passarono completamente inosservati. Deluso dalla letteratura, entrò allora
come socio nella ditta commerciale del suocero (si era nel frattempo sposato) e
ne assunse poi la direzione: per affari, viaggiò in vari Paesi europei.
Ormai quasi quarantacinquenne, per una circostanza fortuita
conobbe a Trieste il grande scrittore James Joyce, ancora sconosciuto, che
faceva l'insegnante d'inglese. Fra i due nacque un'intensa amicizia e una
reciproca stima delle proprie opere letterarie. Negli stessi anni Svevo conobbe
le teorie di Freud, quando un parente iniziò una terapia psicoanalitica.
Allo scoppio della prima guerra mondiale, la fabbrica venne chiusa
dalle autorità tedesche e lo scrittore riprese con una certa intensità
l'attività letteraria, collaborando a giornali locali e progettando un'opera a
favore della pace universale.
Dopo la guerra, essendo nel frattempo Trieste divenuta città italiana,
l'ormai quasi sessantenne scrittore scrisse il suo capolavoro, La coscienza di Zeno, e lo pubblicò nel
'23. Anche questo romanzo sembrava destinato a essere ignorato: ma Svevo ne
inviò una copia a Parigi, all'amico Joyce, che ne diede un ottimo giudizio e lo
presentò a due critici francesi, i quali crearono un caso letterario
dedicando un intero numero di un importante periodico parigino allo scrittore
italiano. Contemporaneamente anche il poeta Montale aveva scritto sulla rivista
L'esame un Omaggio a Italo Svevo.
Alletà di cinquantacinque anni, improvvisamente, lo scrittore
raggiunse così la fama: ma quando finalmente poteva dedicarsi a tempo pieno
alla letteratura, a causa di un incidente d'auto la morte lo raggiunse soltanto
due anni dopo, nel 1928.
L'EPOCA E IL PENSIERO
Negli anni in cui visse Svevo, Trieste, che divenne italiana dopo
la prima guerra mondiale, era un vero e proprio crocevia di popoli
(l'espressione è dello scrittore). In città erano diffuse la cultura italiana
(dominata, a quel tempo, dal tardo Romanticismo e, soprattutto, dal Positivismo
e, in letteratura, dal Verismo), ma anche le teorie e la filosofia che allora
potevano considerarsi d'avanguardia, provenienti dall'Austria. Italo Svevo le
assorbì entrambe: ebbero influenza su di lui, in particolare, le teorie di
Darwin sull'evoluzione della specie e le opere di Freud (L'interpretazione dei sogni fu pubblicata nell'anno 1900). Anche il
pensiero di Marx, reinterpretato in chiave pacifista, ebbe qualche peso nella
sua formazione. Un preciso riferimento a queste teorie è contenuto in quello
che potremmo definire il sugo de La
coscienza di Zeno. Questo passo è altrettanto importante, per capire il
pensiero di Svevo, quanto la conclusione dei Promessi Sposi per comprendere quello di Manzoni: ne riproduciamo
perciò gli stralci fondamentali.
La
vita somiglia un poco alla malattia come procede per crisi e lisi ed ha i
giornalieri miglioramenti e peggioramenti. A differenza delle altre malattie la
vita è sempre mortale. Non sopporta cure. (...)
La
vita attuale è inquinata alle radici. L'uomo s'è messo al posto degli alberi e
delle bestie e ha inquinata l'aria, ha impedito il libero spazio. Può avvenire
di peggio. Il triste e attivo animale potrebbe scoprire e mettere al proprio
servizio delle altre forze. V'è una minaccia di questo genere in aria. (...)
Qualunque sforzo di darci la salute è vano. Questa non può appartenere che alla
bestia che conosce un solo progresso, quello del proprio organismo. Allorché la
rondinella comprese che per essa non c'era altra possibile vita fuori
dell'emigrazione, essa ingrossò il muscolo che muove le sue ali e che divenne
la parte più considerevole del suo organismo. (...) Ma l'occhialuto uomo,
invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c'è stata nobiltà o salute
in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si comperano,
si vendono e si rubano e l'uomo diventa sempre più furbo e più debole. Anzi si
capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua debolezza. I primi
suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere
efficaci che per la forza dello stesso, ma oramai, l'ordigno non ha più alcuna
relazione con l'arto. Ed è l'ordigno che crea la malattia con l'abbandono della
legge che fu su tutta la terra la creatrice. La legge del più forte sparì e
perdemmo la selezione salutare. Altro che psico-analisi ci vorrebbe: sotto la
legge del possessore del maggior numero di ordigni prospereranno malattie e
ammalati. Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni
ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo
fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo,
inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi
attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro
uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po' più ammalato,
ruberà tale esplosivo e s'arrampicherà al centro della terra per porlo nel
punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un'esplosione enorme
che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli
priva di parassiti e di malattie.
Queste sono dunque le idee che Svevo sostiene, per bocca del
protagonista e io narrante Zeno, nelle ultime righe del suo capolavoro:
a. La
vita umana è come una malattia (poiché non può sottrarsi alla morte) il cui
decorso conosce alti e bassi, secondo un ritmo imprevedibile. Tutte le vicende
del romanzo tendono infatti a dimostrare che scelte che sembrano fallimentari
si rivelano inaspettatamente sagge, personaggi che paiono vincenti si rivelano
inetti e viceversa, che le decisioni razionalmente migliori producono effetti
catastrofici e quelle più assurde fruttano invece, a conti fatti, risultati
positivi. Ciò perché gli avvenimenti spesso smentiscono ogni previsione:
d'altronde nella coscienza dell'uomo c'è una parte inconscia, inconsapevole,
che sfugge a ogni controllo (in quest'ultima convinzione si manifesta il
principale influsso su Svevo del pensiero di Freud).
b.
L'uomo sta distruggendo la natura e l'equilibrio del pianeta, con gravi
conseguenze per la sua sopravvivenza. Questa tesi di Svevo fa di lui un
anticipatore delle tematiche ecologiste.
c.
L'evoluzione animale si è basata sull'adattamento fisico e sulla selezione
basata sulla legge del più forte (questa tesi deriva dal pensiero di Darwin).
Quella dell'uomo, invece, si fonda sulla costruzione di strumenti tecnologici (ordigni) sempre più potenti, anche per
la loro distruttività (i gas e gli esplosivi, che Svevo aveva appena visto
usare nella prima guerra mondiale). Nell'uomo continua a operare l'istinto
aggressivo e distruttivo dei suoi antenati animali, ma esso si manifesta
attraverso l'uso di armi sempre più micidiali: il punto d'arrivo non potrà che
essere la distruzione della specie umana e del pianeta attraverso cui, scrive
ironicamente Svevo, ritorneremo alla salute scomparendo.
Dobbiamo pensare, sulla base di questa affermazione, che lo
scrittore ritenga irrimediabilmente condannata l'umanità? Evidentemente no:
altrimenti non ci spiegheremmo, fra l'altro, il suo impegno per la pace durante
gli anni della guerra. Egli vuole però metterci in guardia sulla direzione
verso cui stiamo andando, se non cambieremo rotta: e l'importanza della sua previsione
è sottolineata dal fatto che egli, trent'anni prima che apparissero realmente,
prevede l'invenzione e l'uso di armi di sterminio capaci di distruggere
l'intera umanità.
LE OPERE
Molte sono le opere minori di Svevo, che ha iniziato a scrivere
sotto l'influsso del Verismo e del tardo Romanticismo.
Nei suoi due primi romanzi già dimostra di saper esprimere una
tematica originale.
Questa la trama di Una vita.
Il
protagonista Alfonso Nitti è un giovane venuto a Treiste dalla campagna.
Impiegato nella banca Maller, egli da un lato aspira alla promozione sociale e
dall'altro sogna la vita pacifica dei campi e ama la cultura e la letteratura.
Contraddittorio è anche il suo sentimento per Annetta, la figlia del
principale. Una sera Alfonso la seduce ma, incapace di agire con decisione e
spinto da una serie di circostanze, si allontana poi da Trieste. Al ritorno
ritrova Annetta fidanzata con un altro e viene trasferito in un ufficio meno
importante. Il protagonista finisce poi
per litigare col fratello della ragazza: secondo le regole del tempo, i due
dovrebbero battersi a duello. Ma Alfonso, conoscendo la propria inferiorità e
temendo il ridicolo, decide di suicidarsi.
Apparentemente il romanzo presenta una struttura veristica (nella
descrizione degli ambienti e nel tema della lotta per la sopravvivenza) con
qualche elemento romantico (il suicidio del protagonista), ma in realtà esso si
colloca già all'interno della nuova narrativa di cui Svevo può considerarsi
inventore nella letteratura italiana. Infatti, elemento centrale dell'opera non
è l'osservazione della realtà sociale o dei sentimenti ma la coscienza, cioè la
contraddittoria pisiche del protagonista: anche se il narratore è esterno,
spesso il punto di vista prevalente è interno e coincide con quello di Alfonso.
Infine, elemento decisivo, secondo la definizione data dallo
stesso autore, è il fatto che il protagonista (come anche quello dei due
successivi romanzi) è un inetto, cioè una persona incapace di battersi nella
spietata lotta per la vita imposta dalla società moderna. Durante una gita in
mare, l'amico Macario farà notare allo spaventato Alfonso l'efficacia del volo
del gabbiano: Chi non ha le ali
necessarie quando nasce non gli crescono più! Chi non sa per natura piombare a
tempo debito sulla preda non lo imparerà giammai e inutilmente starà a guardare
come fanno gli altri, non li saprà imitare. Ciò perché Alfonso ha ali solo
per compiere inutili voli poetici.
Il protagonista è dunque un inetto (con questo titolo il romanzo
era stato presentato a un editore) e inaugura la serie degli antieroi, dei
falliti, dei perdenti che popoleranno la narrativai del XX secolo. Questi
personaggi, a differenza degli eroi romantici come l'Ortis, non finiscono
sconfitti perché il loro nobile ed eroico animo rifiuta la meschina realtà, ma
perché essi stessi sono squallidi e deboli: e questa nuova prospettiva è tipica
della sfiducia in sé che domina l'uomo nella letteratura novecentesca.
Anche Emilio Brentani, protagonista di Senilità, il secondo romanzo di Svevo, è un inetto e un antieroe.
Questa la trama.
Emilio
Brentani, impiegato in una società di assicurazioni e scrittore nel tempo
libero, invidia l'amico scultore Balli, che non ha successo artistico ma si
consola con le donne. Emilio si innamora poi di Angiolina, e continua ad amarla
nonostante i tradimenti della ragazza. Angiolina e anche la sorella del
Brentani, Amalia, si innamorano poi del Balli: credendo di fare il bene della
sorella, Emilio allontana lo scultore, ma spinge così indirettamente la sorella
verso la catastrofe. Dopo un ennesimo tradimento, il protagonista interrompe
anche la propria relazione con Angiolina e rimane, infine, solo, ad attribuire
alle due donne caratteristiche che non hanno mai avuto, sognatore sconfitto e
passivo di fronte alla realtà.
Il titolo del romanzo, che allude alla vecchiaia, ha fatto
discutere, data l'età (trentacinque anni) del protagonista. Si deve
probabilmente pensare a una senilità, cioè inettitudine, di carattere psichico.
Molto interessante è la narrazione svolta secondo il punto di
vista del protagonista (cioè con focalizzazione interna fissa) quando il
protagonista si autoanalizza (in genere, la narrazione è però in terza
persona). Con quest'opera Svevo si avvicina sempre più a far diventare la
coscienza centro del racconto: nel capolavoro, questa evoluzione giungerà al
suo punto di arrivo e diventerà modello narrativo per tanti scrittori del XX
secolo (caratterizzato, non a caso, da grandi scoperte sulle caratteristiche
della mente umana).
La
coscienza di Zeno
Già la struttura del romanzo appare innovativa al punto da
spiegare le difficoltà incontrate da Svevo nel farne accettare le
caratteristiche dagli ambienti tradizionalisti della letteratura italiana.
Non è possibile parlare di una trama del romanzo, poichè la
narrazione, in prima persona, segue il flusso dei ricordi del protagonista con
continui salti e flash-back temporali: il distacco fra fabula e intreccio è netto e profondo.
La narrazione si divide in otto capitoli.
Nel primo, la Prefazione,
la voce narrante è il dottor S., psicoanalista, che presenta il racconto
autobiografico che il protagonista ha scritto come mezzo di terapia e afferma
di pubblicarlo per vendetta, perché il paziente ha interrotto la cura.
Nel secondo, il Preambolo,
Zeno è io narrante (e tale resterà per il seguito del romanzo): qui egli
racconta i primi tentativi di assolvere al compito affidatogli dal medico.
Nel terzo, Il fumo, si
parla del rapporto di Zeno col fumo, a partire da episodi infantili che
dimostrano come egli abbia incominciato a fumare per esprimere così la propria
rivalità col padre, e si narrano i vari inutili tentativi di smettere
(l'ultima sigaretta) avvenuti in vari momenti della vita.
Nel quarto, La morte di mio
padre, vengono raccontati episodi che dimostrano la profonda incomprensione
esistente fra padre e figlio, culminata nell'episodio della morte del padre: in
quella occasione l'ultimo gesto del genitore è dare uno schiaffo al figlio, che
durante l'agonia vorrebbe trattenerlo a letto per obbedire agli ordini del
medico.
Nel quinto, La storia del
mio matrimonio, si racconta che Zeno vorrebbe sposare Ada, bella figlia del
ricco commerciante Giovanni Malfenti; essendo respinto (poiché Ada gli
preferisce Guido Speier, giovane di brillante aspetto), finisce per dichiararsi
ad Augusta, sorella bruttina di Ada, pur di restare vicino alla donna che ama.
Nel sesto, La moglie e
l'amante, si narra come Zeno, dopo il matrimonio con Augusta, veda sempre
più in lei una persona sana cui appoggiarsi per vincere la propria inettitudine;
egli, per un certo periodo, si fa un'amante, ma poi la relazione finisce e il
matrimonio diventa sempre più solido.
Nel settimo, Storia di
un'associazione commerciale, apprendiamo come Zeno decida di unirsi in
affari con Guido Speier, che ha sposato Ada ed è diventato cognato del
protagonista. Guido si rivela però un incapace e porta al tracollo l'impresa:
per suscitare pietà egli finge allora di suicidarsi ma, per una serie di
circostanze, non viene soccorso in tempo e muore davvero.
Zeno, giocando in Borsa, recupera gran parte delle perdite dovute
alla gestione di Guido.
Nell'ottavo, Psico-analisi,
la narrazione assume la forma del diario per la durata di dieci mesi, mentre è
in corso la prima guerra mondiale. Proprio la guerra ha dato il successo
economico a Zeno, permettendogli di rivendere a prezzo elevato una partita di
incenso precedentemente acquistata, e facendolo sentire forte e in piena
salute. E' Zeno, infine, a sostenere Ada, imbruttita dalla malattia e in
condizioni economiche disastrose. Egli rifiuta perciò la diagnosi del dottor
S., che attribuisce al complesso di Edipo (cioè all'inconscia rivalità col
padre) i suoi problemi, e decide di interrompere la cura psicoanalitica. Si
giunge così alla conclusione: il successo nel commercio ha guarito Zeno; non è
lui a essere malato: malata è la vita stessa. La previsione finale del
protagonista è che, procedendo nella direzione intrapresa, l'umanità finirà per
autodistruggersi.
Le novità contenute in questo romanzo sono molte, sia sul piano
tematico che su quello della struttura narrativa:
a. Il
romanzo, e anche la sua conclusione, si prestano a molte e diverse
interpretazioni. L'estendersi dell'ambiguità e della polisemia dalla poesia
alla prosa diventano una caratteristica della narrativa novecentesca, e
testimoniano la crisi delle certezze che contraddistingue il secolo.
b. Il
protagonista è ancora un inetto come nei due precedenti romanzi di Svevo, ma
nel capolavoro non risulta perdente. L'autore sembra ora suggerire un diverso
messaggio: le imprevedibili circostanze della vita possono rendere vincente (o
sano, come direbbe Zeno) un individuo apparentemente destinato alla sconfitta,
e viceversa, poiché le regole della lotta per la vita nella società moderna non
si basano più su quelle che determinarono l'evoluzione, volute dalla natura.
c.
Discusso è anche il rapporto con la psicoanalisi e la medicina che emerge dal
romanzo. Indubbiamente prevale la diffidenza (la figura del dottor S., ma anche
quella del medico dottor Coprosich, sono messe in ridicolo): in alcuni capitoli
però (in particolare, ne Il fumo)
Svevo basa la propria narrazione su concetti tratti dalle ipotesi di Freud (La malattia è una convinzione e io nacqui
con quella).
d. Le
principali innovazioni riguardano la struttura del romanzo e il modo di
narrare: non viene più seguito un filo logico e cronologico; protagonista della
narrazione è, appunto, la coscienza, cioè la psiche, del protagonista; i
pensieri vengono riprodotti secondo la tecnica del monologo interiore (di cui fu
maestro Joyce), cioè con il discorso indiretto e la libera associazione di idee
(ossia collegando spontaneamente i pensieri in modo non logico, secondo una
tecnica usata anche nella cura psicoanalitica).
FREUD E LA TEORIA PSICOANALITICA
I principi fondamentali della teoria psicoanalitica, formulati dal
medico e scrittore austriaco Sigmund Freud nei primi decenni del XX secolo,
sono, in sintesi, i seguenti:
- La psiche umana si distingue in una parte di cui l'individuo e
cosciente e in una parte inconscia, che si esprime, per esempio, nei sogni.
- All'interno della psiche si distinguono tre parti: una base
istintiva, guidata soprattutto dagli impulsi aggressivi e erotici; una
struttura morale, formata a contatto con i genitori e gli adulti; e l'io,
fondamento della personalità, che deve tener conto di entrambe queste realtà
spesso in conflitto fra loro.
- Da questo conflitto, generalmente inconscio, nascono i disturbi
psicosomatici (malattie fisiche, la cui causa sta nel malessere mentale) e i
complessi. Uno dei più tipici è il cosiddetto complesso di Edipo, che può
spingere i figli maschi alla rivalità nei confronti del padre ritenuto,
inconsciamente, concorrente da battere nella competizione per l'affetto della
madre (nella figlia, ovviamente, il complesso si presenta con altro nome e in
forma rovesciata).
.-La terapia psicoanalitica si basa sull'interpretazione dei sogni
e la libera associazione fra pensieri e ricordi che permettono di capire la
causa del malessere psichico e del conflitto, di renderlo cosciente e, quindi,
di dominarlo.
Il pensiero psicoanalitico ha profondamente influenzato la
letteratura del Novecento, rendendo l'inconscio (con le sue modalità non
logiche di espressione) e il sogno (con il suo particolare linguaggio simbolico
e metaforico) protagonisti di gran parte della poesia e della narrativa.
I TESTI
Proponiamo qui alcuni stralci di un passo de La coscienza di Zeno, dal quale emergono con particolare evidenza
le importanti novità che caratterizzano la narrativa di Svevo.
Siamo nella parte centrale del romanzo. Dopo una seduta spiritica,
nel corso della quale Zeno ha cercato di boicottare il suo rivale Guido, egli
si è dichiarato a Ada ma ne è stato respinto: rifiutato anche dalla sorella
Alberta, è infine stato accettato dalla più brutta delle sorelle Malfenti,
Augusta, alla quale aveva sinceramente detto di non amarla ma di sentirsi solo.
A cena viene festeggiato il fidanzamento fra Zeno e Augusta.
Essa (Augusta) diceva sempre l'esatta verità. Si trovava
fra il riso e il pianto e mi guardò. Volli accarezzarla anch'io con l'occhio e
non so se vi riuscii.
Quella
sera stessa a quel tavolo subii un'altra lesione. Fui ferito proprio da Guido.
Pare
che poco prima ch'io fossi giunto per prender parte alla seduta spiritistica,
Guido avesse raccontato che nella mattina io avevo dichiarato di non essere una
persona distratta. Gli diedero subito tante di quelle prove ch'io avevo mentito
che, per vendicarsi (o forse per far vedere ch'egli sapeva disegnare) fece due
mie caricature. (...) Tutti risero molto e anzi troppo. Mi dolse intensamente
il tentativo tanto ben riuscito di gettare su di me del ridicolo. E fu allora
che per la prima volta fui colto dal mio dolore lancinante. Quella sera mi
dolsero l'avambraccio destro e l'anca. Un intenso bruciore, un formicolio nei
nervi come se avessero minacciato di rattrappirsi. Stupito portai la mano
destra all'anca e con la mano sinistra afferrai l'avambraccio colpito. Augusta
mi domandò:
-Che
hai?
Risposi
che sentivo un dolore al posto contuso da quella caduta al caffé della quale
s'era parlato anche quella sera stessa.
Zeno tenta allora di vendicarsi facendo una caricatura di Guido,
ma riesce solo a dimostrare di essere inferiore a lui anche nel disegno. Ada è
ormai affascinata da Guido.
Ada
prese i due disegni di Guido e disse di voler conservarli. Io la guardai per
esprimerle il mio rimprovero ed essa dovette stornare il suo sguardo dal mio.
Avevo il diritto di rimproverarla perché faceva aumentare il mio dolore.
Trovai
una difesa in Augusta. Essa volle che sul mio disegno mettessi la data del
nostro fidanzamento perché voleva conservare anche lei quello sgorbio. Un'onda
calda di sangue inondò le mie vene a tal segno d'affetto che per la prima volta
riconobbi tanto importante per me. Il dolore però non cessò e dovetti pensare
che se quell'atto d'affetto mi fosse venuto da Ada, esso avrebbe provocato
nelle mie vene una tale ondata di sangue che tutti i detriti accumulatisi nei
miei nervi ne sarebbero stati spazzati via. Quel dolore non m'abbandonò più.
Adesso, nella vecchiaia, ne soffro meno perché, quando mi coglie, lo sopporto
con indulgenza: "Ah! Sei qui, prova evidente che sono stato giovine?"
Ma in gioventù fu altra cosa. (...) Bisognava cancellare dal mio corpo quel
dolore. Così cominciarono le cure. Ma, subito dopo, l'origine rabbiosa della
malattia fu dimenticata e mi fu ora perfino difficile di ritrovarla. (...)
Zeno passa a narrare le diverse diagnosi date del dolore dai vari
medici ai quali si è rivolto e si sofferma su un episodio.
Una
specie di veterinario nelle cui mani m'ero posto, s'ostinò per lungo tempo ad
attaccare il mio nervo sciatico coi suoi vescicanti (medicamenti
che causano la formazione di vesciche) e
finì coll'essere beffato dal mio dolore che improvvisamente, durante una
seduta, saltò dall'anca alla coppa (testa), lungi perciò da ogni connessione col nervo sciatico. Il cerusico (medico,
detto in senso dispregiativo) s'arrabbiò
e mi mise alla porta ed io me ne andai - me lo ricordo benissimo - niente
affatto offeso, ammirato invece che il dolore al nuovo posto non avesse
cambiato nulla. Rimaneva rabbioso e irraggiungibile come quando mi aveva
torturato l'anca. E' strano come ogni parte del nostro corpo sappia dolere allo
stesso modo.
Tutte
le altre diagnosi vivono esattissime nel mio corpo e si battono fra loro per il
primato. (...) Ma pur senza saperne spiegare l'intima natura, io so quando il
mio dolore per la prima volta si formò. Proprio per quel disegno tanto migliore
del mio. Una goccia che fece traboccare il vaso! Io sono sicuro di non aver mai
prima sentito quel dolore. Ad un medico volli spiegarne l'origine,ma non
m'intese. Chissà? Forse la psico-analisi porterà alla luce tutto il
rivolgimento che il mio organismo subì in quei giorni e specialmente nelle
poche ore che seguirono al mio fidanzamento. Non furono neppure poche, quelle
ore!
Quando
tardi, la compagnia si sciolse, Augusta lietamente mi disse:
-A
domani!
L'invito
mi piacque perché provava che avevo raggiunto il mio scopo e che niente era
finito e tutto avrebbe continuato il giorno appresso. Essa mi guardò negli
occhi e trovò i miei vivamente annuenti così da confortarla. Scesi quegli
scalini, che non contai più, domandandomi:
-Chissà
se l'amo?
E' un
dubbio che m'accompagnò per tutta la vita e oggidì posso pensare che l'amore
accompagnato da tanto dubbio sia il vero amore.
L'analisi del testo mette in luce molte caratteristiche
innovative. Eccone alcune:
a. Il
dolore di Zeno, cui i medici attribuiscono mille diverse cause e che si
trasferisce da un punto all'altro del corpo, è il tipico dolore psicosomatico
cui accenna Freud e la cui conoscenza oggi è stata ampiamente approfondita
(anche a questo proposito, Svevo precorre i tempi). Si tratta del trasferimento
nel corpo di un disagio mentale (in questo caso, nato dalla derisione subita ad
opera di Guido).
b.
L'io narrante, cioè Zeno, racconta seguendo il libero flusso dei ricordi: dalla
descrizione di ciò che accadde in casa Malfenti la sera del fidanzamento passa
a seguire il filo della vicenda del dolore apparso quella sera e dei tentativi
di curarlo, per tornare alla sera a casa Malfenti e da lì, attraverso il saluto
di Augusta, proiettarsi nel futuro per riflettere sul rapporto fra Zeno e sua
moglie.
c. Il
narratore interno si identifica con Zeno ma al tempo stesso ne prende le
distanze utilizzando un'ironia che a tratti sfiora la comicità, a tratti
l'umorismo in senso pirandelliano (tale caratteristica ha tutta la scena del
fidanzamento, ma anche quella dell'esplodere del dolore di Zeno, o della visita
dal veterinario).
Bastano queste tre caratteristiche per
fare di Svevo un narratore di indiscusso livello europeo, che non fu compreso
nell'Italia letteraria dei suoi tempi, come spesso accade ai grandi innovatori.