L’EURO REICH

(Capital 03/1998)

Milton Friedman, 85 anni è forse il più autorevole economista vivente. Docente presso l'Università di Chicago dal 1948 all'83, premio Nobel 1976, Friedman è il capostipite della scuola neoliberista americana. Oggi lavora all'Hoover Institution dell'Università di Stanford, California.

Provocazioni. L'Unione europea e la moneta unica? Falsi problemi. Perché l'economia in Europa è usata per risolvere la lotta franco-tedesca per il predominio politico. Milton Friedman, padre del neoliberismo, boccia Maastrícht. E dice agli europei: lasciate che il mercato si governi da sé. E rifiutate questo dirigismo di stampo nazista che impedisce sviluppo e occupazione.

 L’Europa? Lo SME? L'Euro? Falsi problemi. Espedienti per spostare sul piano economico questioni che in realtà sono politiche, e in una chiave che rievoca sinistramente tempi andati. "Scusi se la metto così, anche se non mi fa piacere dirlo: vedo un dirigismo che mi sembra il diretto discendente del concetto di Reich che avevano i nazisti. E siccome è antistorico che gli Stati Uniti vengano governati da Berlino, il Mercato comune ha designato Bruxelles quale sua capitale fantasma". Parole dure, durissime. Preoccupanti perché a pronunciarle è il padre del neoliberismo e non uno scalmanato irredentista autarchico. Un anziano e sorridente signore che trascorre il suo tempo fra la Hoover Institution della Stanford University e una tranquilla residenza estiva nel Vermont. Ma Milton Friedman non ha mai usato mezzi termini, e ancora una volta non esita ad esprimere in modo nudo e crudo la sua visione radicale della politica monetaria ed economica. "L'Europa, del resto ha conosciuto lo sviluppo sotto il dominio di regimi autoritari. Alla fine dello scorso secolo stava orientandosi verso il libero mercato, ma la Prima guerra mondiale ha posto fine a questo tentativo. Il cancelliere Kohl e, prima ancora, il presidente francese Mitterrand hanno promosso l'Euro come deterrente di un nuovo possibile conflitto: è stato il modo peggiore di fare una cosa giusta, perché un cattivo accordo economico non può preludere a risultati politici. Al contrario".

Ma non ce l'ha solo con l'Europa il premio Nobel per l'economia, che non risparmia critiche alle nazioni ancora dominate dallo statalismo storico - Italia e Francia in testa - o di ritorno, come quello lanciato da Bill Clinton nel suo recente discorso stillo Stato dell'Unione. E parla della crisi nel Far East come dell’ennesimo disastro prodotto dall'ingerenza nell'economia da parte dei governi delle "Tigri asiatiche". "Non dico che il mercato sia perfetto, la perfezione noti è di questo mondo. Ma in Corea, per esempio, è stata l'amministrazione ad aver compromesso il funzionamento del mercato. Per non parlare del Giappone, che è giunto al suo quarto anno di non-crescita, di stagnazione, e che deve al più presto curare i propri mali per non compromettere il suo equilibrio con l'Europa e con Ai Stati Uniti".

Friedman è sempre stato un testimone "scomodo" e oggi, a 85 anni, può vantare un outIook professionale che data dai tempi della "Grande depressione" americana. Il liberismo in termini di meritocrazia, lo ha sperimentato personalmente, e con successo, finanziandosi gli studi con numerosi grant e qualche lavoretto estivo; guadagnando come cameriere in alcuni ristoranti o nei panni dell'impiegato amministrativo in un negozio, fino ad afferrare alcune opportunità imprenditoriali in cui riuscì a inserirsi con successo. Nel 1932, appena laureato alla Rutgers University, iniziò il suo lavoro di ricerca trasferendosi a Chicago, dove sarebbe divenuto il capostipite di quella scuola che ha prodotto il maggior numero di premi Nobel per l'economia e disseminato Chicago boys ai vertici delle maggiori organizzazioni internazionali e dei governi in tutto il mondo."Personalmente, la cosa più importante che mi accadde quell'anno ritengo però sia stato l'incontro con una timida, scostante e amabile collega, Rose Director", diventata sua moglie sei anni dopo, una volta dissipate le incertezze che il futuro avrebbe potuto riservare loro in quel durissimo periodo.

Da allora Rose è anche il partner insostituibile della sua brillantissima carriera. Coautori di due sacri testi del neoliberismo: Capitalism and Freedom, e Free to Choose, hanno appena terminato di raccontare la loro fortunata esperienza professionale e umana in Two Lucky People - Memory of Milton and Rose D. Friedman, in uscita a marzo dalla University of Chicago Press. "Comincia come una storia d’amore e finisce come un trattato di politica sociale", si schermisce Friedman, convinto da Capítal a rilasciare una delle sue rarissime interviste.

Domanda. Lei sostiene che introdurre l'Euro inasprirebbe le tensioni politiche fra i Paesi membri. Che gli Usa sono un buon esempio di situazione favorevole a un'unica valuta e che l'Europa invece è una realtà atipica.

Risposta. t giusto. Però non ho mai detto che l'Europa non arriverà alle condizioni che renderebbero desiderabile un sistema comune, il quale a volte può essere una buona idea, altre volte meno, ma non è un male in linea di principio. Gli Stati Uniti, per esempio, sono stati costruiti affinché ciascuno Stato mantenesse la cultura e i caratteri essenziali, pur avendo la possibilità di cooperare con gli altri. Il libero scambio di merci è un sostituto del libero scambio di persone; il commercio mi sostituto della politica, i cambi e i tassi di interesse un sostituto delle sovvenzioni destinate da un settore della società a un altro. Il background storico degli Usa è chiaro: la Gran Bretagna è il Paese che ha sviluppato l'idea del libero mercato. Mentre nel Continente questa è un idea importata...

D. A quali condizioni l'Euro diventerebbe praticabile?

R. Esistono due concezioni diametralmente opposte del mercato comune. La prima è quella che per brevità definirei del laissez faire, e che ha quale obiettivo quello di creare una vasta area economica in cui le leggi di mercato possono minimizzare il peso delle legislazioni nazionali: in sostanza l'idea che Margaret Thatcher aveva al tempo in cui era premier. L’altra, di uno Stato pianificato collettivamente, consiste nel creare un territorio controllato e gestito da Bruxelles, un sistema economico centralizzato. Queste due alternative sono alla base dell'idea generale di creare gli Stati Uniti d'Europa, cui è possibile dare una struttura basata sul controllo collettivo o, piuttosto, liberista. Se le economie europee ridurranno l'attuale eccesso di regolamentazione, se i prezzi e i salari verranno resi più flessibili, se diventerà più semplice per i lavoratori muoversi da un Paese all'altro, potrebbe accadere che, col tempo, diventi opportuno introdurre una valuta comune. Al momento queste condizioni non sussistono, ma la mia non è una previsione valida in eterno.

D. Qual è per lei, attualmente, il maggior pericolo dovuto all'introduzione della moneta unica?

R. I cosiddetti choc extra-mercato, eventi cioè che influenzano solo alcune economie e che in un regime flessibile sarebbero facilmente compensati da fluttuazioni nei cambi. Il problema della moneta unica è molto diverso da quello, poniamo, delle protezioni tariffarie, che in linea di principio sono un'idea pessima. Il libero scambio invece è un'ottima cosa, quasi indipendentemente dalle circostanze.

D. A proposito di flessibilità dei prezzi e dei salari: Franco Modiglíani sostiene che non sia questo l'aspetto principale, bensì gli scarsi investimenti che deprimono l'occupazione...

R. Ancora una volta, è proprio la corsa all'Euro a produrre la disoccupazione. La Gran Bretagna, che sembra destinata a rimanere fuori dal sistema monetario, non ha questo problema. La Francia e l'Italia subiscono Ai effetti della loro politica di adattamento quasi coercitivo ai criteri di Maastricht e soffrono delle imposizioni della Bundesbank. La crisi del lavoro è il risultato di questo sforzo disperato e inopportuno. Se vivessimo in una condizione di libero mercato avremmo comunque problemi di disoccupazione, ma non delle dimensioni attuali. E deriverebbero quasi interamente dalla rigidità delle relazioni sindacali e delle normative che rendono difficile e costoso per i Paesi e per le aziende licenziare o assumere qualcuno. L'Italia ha molto beneficiato in questi ultimi anni della possibilità di avere un'ampia economia sommersa Ed è a questa, e non alle grandi aziende. che deve principalmente la sua crescita. Al fatto, cioè, di non aver rispettato le normative che regolano ovunque in Europa la vita delle imprese.

D. Crede che l'economia sommersa crescerà con la nascita della moneta unica?

R. E' ovvio che sarebbe meglio avere un'economia istituzionalmente sana piuttosto che sommersa, ma bisogna anche chiedersi quali alternative ci si trova di fronte: se un sistema di leggi e regole rende difficile usare con efficienza le risorse, le imprese e gli individui saranno portati all'evasione. L'unica via , uscita sarebbe quella di introdurre incentivi, che però graverebbero sullo sforzo per raggiungere i parametri necessari a entrare nella moneta unica. Ecco perché con l'Euro la diffusione dell'economia sommersa tenderà probabilmente ad aumentare. Il quadro è dunque quello di un'Europa formata di Paesi diversi e sottoposti a condizioni diverse, che si impegna deliberatamente a eliminare dal proprio sistema economico un importante elemento di flessibilità: la fluttuazione dei cambi.

D. Parliamo dei criteri di Maastricht: crede che servano veramente a definire le reali condizioni di un'economia?

R. No, sono praticamente irrilevanti. Prendiamo per esempio il rapporto fra debito e Pil: un Paese può essere prospero anche se questo valore supera il 60% imposto dal Trattato. Negli Stati Uniti, dopo la Seconda guerra mondiale il debito federale era pari al 105% del reddito e, gradualmente, negli anni Settanta era arrivato al 35%. Ora è circa del 50 o 60%.Ma è difficile stabilire una qualsiasi relazione tra questi valori e la solidità di un Paese. Allo stesso modo, nonostante le convinzioni diffuse, il deficit non è un fattore importante per definire la ricchezza di una società, è semplicemente un'altra forma di tassazione, una tassazione che si può senz'altro definire occulta.

D. Qual è, allora, un parametro significativo?

R. La quota del reddito in termini percentuali sul Prodotto intento lordo che viene spesa dal governo, e anche quanto, e in che modo, le regole e i controlli stabiliti dall'amministrazione interferiscono con la libertà di operare da parte delle forze del mercato. Ma, stranamente. non si parla di questo negli accordi di Maastricht...

D. Lei ha appena detto che una valuta comune funziona se esiste flessibilità nei prezzi e nei salari, e neanche questo appare nel Trattato. Pensa che si possa ottenere una tale condizione?

R. Non dobbiamo aspettarci che Bruxelles riesca a esercitare un controllo adeguato dal momento che continua a introdurre delle rigidità. Ciascun Paese dovrà fare da sé.

D. Va sempre più di moda dichiararsi liberisti, e oggi si è giunti al paradosso che anche partiti ex comunisti invochino il mercato per la privatizzazione delle banche e delle aziende di Stato, o per far nascere joint-venture fra pubblico e privato. Secondo lei sono convinti o è solo un modo di confondere le acque?

R. Le parole sono una cosa, altro sono i fatti. Oggi non si sente parlare che di sostenitori del mercato, in Italia come, negli Stati Uniti, dove però abbiamo l'economia più socializzata degli ultimi 30 anni. Clinton sostiene che l'era del "Grande governo" è finita ma, nel suo recente discorso stillo Stato dell'Unione, ha proposto da 30 a 40 nuove leggi e interventi governativi sull'economia. La realtà va senz'altro distinta dai discorsi di facciata. Credo che ciò valga anche per l'Italia.

D'obbligo un'ultima domanda su Two Lucky-People, la storia di 59 anni di vita e di lavoro dei signori Friedman: "Ci è piaciuto ripercorrere la vita familiare; il Dopoguerra quando ebbi la fortuna di dirigere il National Bureau of Economic Research e, contemporaneamente, di insegnare Teoria economica alla University of Chicago; il supporto alla sfortunata campagna presidenziale di Barry Goldwater negli anni Sessanta o l'esperienza di consulente nelle amministrazioni di Nixon e di Reagan. Poi i nostri tre viaggi in Cina... ". E c'è qualche episodio in cui avete creduto di sbagliare, di non andare nella direzione giusta? Qualche cosa di cui, nel libro, si rimprovera? "Certamente, ma non vorrei rispondere. Decida lei quando lo leggerà".