Il LTM (Laboratorio Teatro Mosé) quest’anno si cimenta con una nuova storia, un nuovo testo, musiche e coreografie. Diciotto ragazze/i (diciassette interni e un ex del Mosè), con la guida della regista Stefano Giada hanno costruito un nuovo spettacolo musicale. Dal dicembre 2014 le prove si susseguono e ormai siamo agli sgoccioli. La serata finale si avvicina. Il 4 giugno alle ore 20,30 al Teatro Manzoni andremo in scena. Ultimi dettagli. Gli oggetti di scena, la scenografia, i costumi è quasi tutto pronto. Il musical di quest’anno è Frankenstein Junior.
La parodia perfetta
Frankenstein Junior è un film che ha tracciato una strada che pochi altri sono riusciti a percorrere con merito. Un conto è infatti un film comico che riprende stilemi e personaggi di un determinato genere cinematografico e li inserisce all’interno di una struttura semplice – quale generalmente quella della farsa – per trarne spunti comici; tutt’altra cosa è una parodia vera e propria che riprende con rispetto e affetto un film o una serie di film per trarne qualcosa di autonomamente valido e autenticamente spassoso.
Lo scopo di Mel Brooks quando realizza Frankenstein Junior è quello di realizzare un omaggio a un cinema che ama – quello della Universal degli anni d’oro dell’horror e in particolare il ciclo di Frankenstein – attraverso la sua bonaria presa in giro. La profonda e perfetta conoscenza del mo-dello permette a Brooks di effettuare dei precisi rimandi cinefili che vanno oltre il richiamo agli a-spetti esteriori più noti e banali. Dalla partita di freccette di Il figlio di Frankenstein all’incontro con l’eremita cieco di Frankenstein, sono molte le scene ricreate in modo da mantenerne l’estetica ma riuscendo a mutarne lo spirito con una perfetta scelta dei tempi comici. Che Brooks voglia ricreare il fascino visivo dei film degli anni ’30 risulta evidente non solo dalla scelta – decisamente contro-corrente – di usare il bianco e nero, ma anche dalla grande cura nelle scenografie spinta sino all’u-so di elementi originali impiegati nei vecchi film di Frankenstein, macchinari di laboratorio compre-si. Tutto questo crea un’atmosfera ricca e impagabile, ma non soverchia lo spirito comico profuso a piene mani da Brooks e da Gene Wilder in una sceneggiatura vivace e brillantissima. Il regista massimizza l’effetto comico inserendo le gag in un contesto che riprende meticolosamente quello dei film oggetto della parodia, senza essere sbrigativo nei valori estetici. E molte di queste gag so-no rimaste proverbiali a testimonianza di una felicità di scrittura assai rara.
Il cast perfetto
Oltre alle qualità di scrittura, di impostazione e di regia (un Mel Brooks mai così sorvegliato e atten-to), il film ha anche il vantaggio – tipico di quelle situazioni in cui tutto sembra andare per il verso giusto – di un perfetto casting: gli attori sono tutti giusti nei rispettivi ruoli e per alcuni di loro questo risulta “il” ruolo della loro carriera. Questo è senz’altro vero per Marty Feldman, il comico dagli oc-chi sporgenti, che dipinge un ritratto perfetto di un personaggio, quello di Ygor, che avrebbe potuto facilmente ridursi a macchietta. Nelle mani di Feldman, l’assistente di Frankenstein diventa invece la lunare proiezione di un prototipo ormai consunto, ridandogli vita e significato. Dal Fritz di Dwight Frye (Frankenstein) all’Ygor di Bela Lugosi (Il figlio di Frankenstein), Feldman trae spunto per di-vertentissimi nonsense che hanno fatto epoca e scuola. Gene Wilder – vero motore alla base del-l’esistenza stessa del film – perfeziona la sua recitazione fatta di attese e di finezze, riuscendo a trovare un equilibrio di comicità e ironia che porta il suo stile a livelli di efficacia ancora maggiori delle sue migliori riuscite precedenti (Per favore, non toccate le vecchiette e l’episodio della pecora in Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere di Woody Al-len). Peter Boyle, robusto caratterista, riesce a trovare il modo di dare sottigliezza e umorismo alla caratterizzazione forse più difficile, quella del mostro di Frankenstein, già ridotto a inerte caricatura in così tanti film da rendere difficile immaginare una nuova dimensione della parodia. Eppure, Boyle ci riesce, dando calore e umanità al mostro e rendendolo motivo di ilarità senza ridurlo a zimbello. Ma anche gli attori dei ruoli minori sono azzeccati. Su tutti, basta ricordare la bravissima Cloris Leachman, nei panni dell’austera e sinistra Frau Blücher che, in una delle gag più note e più assurde del film, causa un nitrito di cavalli ogni volta che viene pronunciato il suo nome.
Un cocktail di intelligenza e umorismo rimasto unico
Molti altri film hanno cercato di sfruttare la scia di Frankenstein Junior per far ridere prendendo in giro i mostri tipici dell’horror, però il cocktail di intelligenza, affetto, umorismo e conoscenza del ge-nere di riferimento di questo film è rimasto unico, probabilmente anche per la fortunata coincidenza dell’incontro di diversi spiriti creativi all’apice della loro brillantezza.