La Trinacria Tour archeologico Alla scoperta sella Sicilia La Sicilia Cartina Percorso visivo
I
Greci la chiamano TRINAKRIA per i suoi tre
promontori: CAPO PELORO o DEL
FARO, nei pressi di Messina;
CAPO BOEO o LILIBEO,
in quel di Marsala e CAPO PASSERO, a Sud-Est (vedi CARTINA
GEOGRAFICA).
Alcune stirpi greche, incendiata Troia, a conclusione della decennale guerra narrataci da Omero, e fatta vela verso l’occidente sbarcano su una terra ricca di fichi e d’olive (chiamati nella loro lingua SIKE’ ed ELAIA), a cui danno l’appellativo di SIKELIA.
L’isola
è nota anche come SICANIA
dal nome di uno dei suoi primi abitanti, i Sicani, o come SICHILLìA
dagli Arabi. Gli Africani e i Maltesi la definiscono SCALLIA,
i
Romani TRIQUETRA
(a tre vertici).
Anche
altre denominazioni fanno chiaro riferimento alla caratteristica forma
triangolare: TRICOLLIS,
TRICEPS,
TRISULCA,
TRILATERA,
TRIVERTIX.
La
regione invasa dai Siculi attorno al 1200 a.c. viene chiamata Sicilia.
LA
PREISTORIA
Le
prime tracce di popolazioni locali risalgono al PALEOLITICO SUPERIORE,
soprattutto lungo le coste settentrionali, intorno al 20.000 A.C.
La
posizioni stessa della Sicilia ne fa un’area di convergenza, da ogni
direzione, di popoli e civiltà’ diverse.
Esplorazioni
archeologiche e scoperte occasionali mettono in evidenza alcune importanti
stazioni DALL’ETA’ DELLA PIETRA SCHEGGIATA, nelle isole del Palermitano e
del Messinese, negli Iblei e nelle isole Egadi: le grotte di San Teodoro
(Messina), di Levanzo (Egadi) e quelle dell’Addaura, sul Monte Pellegrino
(Palermo) e di Nisemi; in questi siti vengono alla luce graffiti finemente
disegnati, raffiguranti cervi, bisonti e uomini.
I
ritrovamenti fin qui effettuati tradiscono un’occupazione umana sporadica e
marginale lungo le coste nei rilievi montuosi vicini e nelle isole minori;
raramente queste popolazioni si spingono verso l’interno.
Il
passaggio da quest’Età’ a quella NEOLITICA (V millennio a.C.)
è caratterizzata da una profonda rivoluzione nelle forme di civiltà
d’insediamento, oltre ad una nuova cultura proveniente dalla Mesopotamia,
dalla Palestina e dalla Siria.
Appaiono
allora l’agricoltura, l’allevamento, la ceramica, la caccia.
Le
popolazioni vivono in villaggi di pietra fortificati o su palafitte e ricorrono
all’uso d’utensili in selce e ossidiana.
Si
hanno reperti di ceramica tricomia nell’isola di Lipari.
Vengono
a formarsi cosi, specie nelle aree orientali comunità’ numerose come
Stentinello, dal nome del villaggio nei pressi di Siracusa, Matreusa, Megara
d’Iblea e Fontana di Papa.
In
seguito, intorno al 3000 A.C. compaiono più’ o meno simultaneamente
nell’Italia del Sud e in Sicilia due elementi nuovi: LA METALLURGIA (l’uso
del rame)
E LE TOMBE A CAMERA SCAVATE NELLA ROCCIA.
In
precedenza, l’inumazione si effettuava entro fosse poco profonde o entro la
cosiddetta CISTA LITICA, recipiente a forma di scatola, che veniva seppellito
nel terreno.
Queste
sepolture sono sostituite da grotticelle scavate nella roccia, precedute da
un’anticamera, con la quale costituivano nell’insieme una struttura non
dissimile dal forno dei contadini siciliani.
I
PRIMI INSEDIAMENTI
(le popolazioni pregreche)
Secondo
lo storico greco TUCIDIDE i primi abitanti dell’isola che occupano la parte
occidentale sono I SICANI, nel 1270 a.C.,
una popolazione di pastori e agricoltori di stirpe e lingua mediterranea, cioè’
preindoeuropea, provenienti DALL’IBERIA.
Scacciati
dal fiume SICANO per opera dei Liguri, dal loro nome, l’attuale Sicilia viene
chiamata SIKANIA.
Seguono
gli Elimi, una mescolanza d’esuli troiani, focesi e sicani sfuggiti agli Achei
e giunti dalla Libia, che si stanziano nella regione nord occidentale nei
dintorni d’Erice e Segesta.
Dal
continente italico dove abitano, i Siculi, nel 1050, in fuga dal popolo campano
degli Osci, si trasferiscono nella meta’ orientale dell’isola, cui danno il
nome di Sicilia.
La
Sicilia antica emerge dal Mediterraneo in posizione centrale e strategicamente
importante (vedi FIG. A), a metà strada fra lo Stretto di Gibilterra ed il
Canale di Suez. Via d'accesso e crocevia di varie civiltà e culture, da una
parte separa l'Occidente dall'Oriente, dall'altra collega l'Europa con l'Africa.
L'isola,
facilmente accessibile dal mare per via di una collocazione senza pari, dispone
di un terreno straordinariamente fertile, conseguenza delle proprie
caratteristiche geografiche, vale a dire UN SUBSTRATO
CALCAREO RICOPERTO DA SPESSI STRATI DI LAVA e
da un clima particolarmente favorevole. Prodotti come il grano, il vino, le
olive, la frutta, le nocciole sono particolarmente apprezzati ed ambiti.
Il
paese, inoltre, si caratterizza per la presenza consistente di foreste, querce,
castagni, pini, abeti che rendono rimarchevoli le riserve idriche (sorgenti,
fiumi, torrenti, piogge) ed abbondante il legname.
Considerando che la più importante via marittima mercantile passa per lo Stretto di Messina, l'esser padroni della Sicilia significa acquisire un rilevante valore strategico ed economico. Questo "sito" mediterraneo, per altro, costituisce una base militare ideale per portare attacchi all'Italia continentale, proprio come avvenne per la flotta britannica nella contesa contro Napoleone, ed offre anche un rifugio a pirati e contrabbandieri che hanno bisogno, tra una scorreria e l'altra, di una base sicura sulla terraferma.
Per
tutte queste ragioni si capisce perché l'isola abbia attirato sin dal
Paleolitico, immigranti e conquistatori, ovvero colonizzatori e colonialisti,
alla ricerca di una nuova patria e non solo di un possedimento coloniale.
Considerevole
è l'elenco degli invasori nel corso della storia antica, medioevale e moderna:
anonimi popoli preistorici, poi Sicani, Elimi, Siculi, Fenici, Greci, Romani,
Ebrei, Vandali, Goti, Visigoti, Bizantini, Arabi (denominati nel Medio Evo,
Saraceni), Normanni, Svevi, Aragonesi, Borboni ed altri ancora.
Alcuni,
come i Barbari, si limitano a fare delle scorrerie, ritirandosi senza lasciare tracce. Ma la maggior parte di
essi vi rimane per lunghi periodi o per sempre, contribuendo variamente ad un
continuo processo di fusione biologica e culturale. I popoli che si succedono,
lasciano la loro impronta sull'architettura locale, sull'arte, nei metodi
agricoli, nei costumi, nei dialetti popolari, nel paesaggio e persino
nell'alimentazione.
Lungo le coste del Mediterraneo Orientale, nella regione attualmente occupata dal Libano, una catena montuosa con cime alte fino a 3000 metri di difficile transitabilità, e il Mar Mediterraneo, delimitano una stretta fascia di territorio (vedi FIGURA B). Questa esigua striscia, lunga all’incirca 200 Km, arida ed assolata, non è particolarmente fertile e, pertanto, le risorse agricole non consentono una produzione tale da soddisfare i bisogni della popolazione (anche in relazione all’aumento demografico verificatosi a partire dal 1200 a.C.); ma sulle pendici dei monti crescono rigogliose foreste di cedri, alberi dal fusto alto e diritto, di un legno leggero e resistente, particolarmente adatto alla costruzione di navi e agli impieghi dell’edilizia.
Fortunata si rivela invece la posizione geografica di
questa regione, collocata in un’area strategica e punto di passaggio obbligato
dei traffici commerciali carovanieri tra l’Egitto, la Mesopotamia e
l’Anatolia. I collegamenti tra le corte vallate che scendono fino al mare sono
difficili, mentre la costa, ricca di promontori e approdi utili in caso di
tempesta, favoriscono la navigazione. Per queste ragioni e per la pressione
esercitata dall’impero ASSIRO che, non solo
assume in controllo dell’area anatolica, precludendo ai FENICI
(popolo di origine semitica proveniente dalla Mesopotamia che dal 1800 al 333
a.C. visse in questa terra) le fonti di approvvigionamento dei metalli, ma
impone alle città fenicie il pagamento di pesanti tributi in materie prime
(soprattutto argento) reperibili solo nell’area mineraria dell’OCCIDENTE
MEDITERRANEO E NELLA REGIONE ATLANTICA. Dunque, i Fenici sono costretti a
dedicarsi alle attività mercantili piuttosto che all’agricoltura; infatti
solo questo tipo di commercio può procurare loro i mezzi per l’acquisto dei
prodotti necessari alla vita. Divengono così, a partire dal 1100 a.C.,
espertissimi marinai e competenti costruttori di navi: adottano lo SCAFO
A CHIGLIA, più stabile di quello a fondo piatto, per dare alla nave un
assetto migliore, e mettono sul fondo dell’imbarcazione uno strato di pietre,
avente funzione di zavorra.
Introducono il sistema della doppia propulsione su ogni
galea, ovvero remi e vela e collocano sulla prua un rostro per agganciare e
colpire le imbarcazioni nemiche.
Migliorano anche la tecnica di navigazione: se fino ad
allora era consuetudine navigare solo di giorno ed in prossimità delle coste,
perché le rotte venivano stabilite seguendo a vista alcuni punti di
riferimento, i Fenici sono i primi a navigare di notte, avvalendosi (vedi FIGURA
C) di rudimentali fanali di prua costituiti da anfore forate (che vengono legate
all’albero principale, sulla parte anteriore della nave) all’interno delle
quali vengono inserite delle fiaccole che irradiano la luce. Nei loro viaggi
notturni ed in mare aperto si orientano osservando la Stella Polare, l’unica
che non cambia mai posto ed indica sempre il NORD;
non a caso gli antichi la conoscevano come Stella Fenicia. Avvalendosi di questa
straordinaria competenza nautica, i Fenici, verso la fine del II millennio e
agli inizi del III millennio, tramontata la talassocrazia cretese – micenea,
intraprendono una fiorente attività commerciale lungo tutto il bacino del
Mediterraneo.
Uno sviluppo mercantile di così ampie dimensioni impone la necessità di fondare lungo le rotte occidentali, delle colonie (vedi FIGURA D) che servono sia come empori commerciali per gli scambi con le popolazioni indigene, sia come stazioni d’appoggio (leggi: “bacini di carenaggio, scali e punti di rifornimento di acqua e viveri”), per le navi dirette più lontano. Teniamo presente che, nell’antichità i viaggi per mare erano pericolose avventure, e, quando possibile, le galee procedevano sempre in vista delle coste, mentre la sera venivano messe all’ancora o tirate a riva. E’ dunque di fondamentale importanza per i Fenici avere, a garanzia di lunghe percorrenze in mare, molte stazioni commerciali lungo le coste del Mediterraneo ed in posizioni strategicamente importanti (ovvero nei pressi di potenziali mercati). Alcune sono semplici porti di transito, altre insediamenti commerciali o vere e proprie colonie. Ma anche queste ultime MANTENGONO PREVALENTEMENTE UN CARATTERE MERCANTILE, CON UN EVIDENTE MINORE INTERESSE ALL’OCCUPAZIONE DELL’INTERNO E AL SUO SFRUTTAMENTO AGRICOLO, con l’eccezione di Cartagine, colonia fondata nell’814 a.C. dai fenici di TIRO; infatti, con la colonizzazione, i Fenici non si propongono egemonie politiche e ancor meno assoggettamento dei popoli indigeni. Anche se non mancano episodi di vero imperialismo, le colonie fenicie mirano ad instaurare rapporti di reciproca collaborazione con gli autoctoni in quanto lo spirito commerciale, per sua natura, è portato a “rispettare il cliente”, ed anche perché gli indigeni costituiscono un ricco e vasto mercato per i loro prodotti. Quasi tutte le colonie sono insediate o su promontori, con doppio approdo secondo i venti, o su isolette a ridosso della costa, o su lagune così da consentire, in ogni caso, un facile approdo ed una veloce operazione di carico/scarico delle merci trasportate dalle navi.
Per realizzare questo ambizioso progetto essi seguono due
rotte fondamentali (vedi FIGURA D): una meridionale (Egitto, Nord Africa e
Spagna) e l’altra insulare (Cipro, Rodi, Creta, Malta, Sicilia, Sardegna e
Baleari).
·
I METALLI
La ricerca dei metalli RAME,
ARGENTO, PIOMBO, FERRO, ORO e STAGNO (di cui non hanno alcuna
disponibilità nel loro paese), necessari per rifornire le loro botteghe
artigiane nella fabbricazione di oggetti, armi, ornamenti, gioielli
raffinatissimi, è il movente fondamentale del commercio fenicio (vedi FIGURA
D).
In particolare lo storico DIODORO
DI AGIRIO riferisce che i Fenici, dopo aver individuato le miniere
d’argento in IBERIA, lo acquistano grezzo, lo
lavorano e lo vendono a prezzi più alti, in Grecia, Asia e presso altri popoli,
facendo lauti guadagni, determinanti per la futura fondazione di alcune colonie.
Non a caso le basi commerciali e le rotte fenicie sono orientate verso le
regioni dove è possibile procurarsi metalli con facilità: Cipro (rame),
Sardegna (ferro), Spagna Meridionale (argento), Isola d’Elba (ferro), Mar Nero
(oro). I Fenici si spingono anche nell’Oceano Atlantico sino alla Cornovaglia
e alle isole Britanniche (allora denominate ISOLE
CASSITERIDI), grandi fornitrici di stagno.
Raggiungono anche le coste del Baltico per reperire l’AMBRA,
una resina di conifera ricercatissima in quanto utilizzata per la
realizzazione di fibbie, collane, spille e ornamenti vari.
·
LA PORPORA
Il vanto dell’industria fenicio – punica
s’identifica però, nell’industria della PORPORA,
una sostanza colorante rosso violetta usata per tingere stoffe, la cui modalità
di lavorazione comincia con l’estrazione della carne di particolari tipi di GASTEROPODI
(che frequentano i bassi fondali sabbiosi del Mediterraneo), denominati MURICI
(vedi figura), ovvero molluschi costituiti da una parte molle e da una conchiglia
che la ricopre.
Subito dopo, il prodotto viene spremuto e la poltiglia
ottenuta, mescolata col sale o semplicemente con acqua marina, viene lasciata
stare al sole per 3 giorni affinché se ne separi il succo secreto dalle
ghiandole degli animali. La sostanza successivamente viene fatta bollire
nell’acqua in vasi di piombo per dieci giorni fino, a renderla piuttosto
densa.
Quindi, mescolata col miele, viene conservata per sei
settimane. Infine, in essa, si immergono i panni di lino o di lana che, dopo
essere estratti si espongono alla luce intensa del sole. Solo in quel momento si
assiste alla trasformazione cromatica del prezioso colorante che,
dall’iniziale bianco giallastro, si trasforma in rosso cupo.
Il colore varia a seconda della durata del periodo di
esposizione al sole. La ricerca dei molluschi è difficile e laboriosa mentre la
lavorazione è complicata e non sempre coronata da successo. Gli impianti
attrezzati per quelle lavorazioni sono pochi e richiedono una manodopera di
straordinaria abilità (vedi FIGURA F). Pertanto si ottiene un prodotto
quantitativamente ridotto, ed il costo della tintura di porpora è elevatissimo
e alla portata di pochi abbienti: caso ben comprensibile, se si pensa che
occorrono
circa 12000 conchiglie per estrarre appena un paio di
grammi di colore!!!
Il tessuto di porpora, specie quello prodotto a Tiro, così
raro e ricercato, diviene, col passar del tempo, un simbolo di opulenza e di
potenza ad esclusivo appannaggio di sovrani, senatori romani, imperatori, sommi
sacerdoti, dignitari, grandi condottieri e cardinali: non a caso questi ultimi
vengono definiti “porporati”.
Fu essa, assieme al commercio dell’ ARGENTO,
a fare ricchi e famosi i Fenici.
·
IL VETRO
Plinio sostiene che la scoperta del vetro fu casuale.
Alcuni mercanti fenici, dopo aver acceso un fuoco sulla
spiaggia, si accorgono che, insieme alla cenere, fonde anche la sabbia,
trasformandosi in materiale fluido trasparente. Nasce così l’idea di
fabbricare oggetti utilizzando, dapprima un sacchetto di sabbia che, immerso
nella massa di vetro fluido caldo, viene modellato con le mani su un banco di
pietra levigata; più tardi, nel I secolo a.C. in SIRIA,
precisamente a SIDONE, viene inventata la tecnica
del “vetro soffiato”; attraverso una cannuccia di metallo entra una certa
massa di vetro caldo che viene modellato (vedi FIGURA
G). Gli artigiani fenici
riescono a ricavare dalle proprietà chimiche della sabbia dei litorali del
Libano, SILICATI DI CALCIO
particolarmente adatti alla vetrificazione.
Il vetro risulta da una fusione (a 700 – 800 gradi
centigradi) congiunta di varie sostanze, quali: SILICE,
BICARBONATO DI CALCIO e ALCALI.
Il calore trasforma la miscela in una pasta semifluida,
facilmente lavorabile, che raffreddandosi, conserva le forme impresse dagli
artigiani.
Il colore naturale del vetro e azzurro o azzurro verdastro; e le diverse colorazioni del vetro si ottengono con l’aggiunta degli impasti primari di altre sostanze, come, l’azzurro cobalto con l’ossido di rame, il verde con l’ossido ferroso, il giallo con composti di antimonio, il bianco con l’ossido di stagno.
Le tonalità più difficili da realizzare sono il rosso,
l’arancio e il giallo, che hanno una formula speciale con il cadmio combinato
al selenio .
Si
producono così bottiglie, vasi, coppe, perline di ottima qualità e a prezzi
bassi; merci dunque che per le loro caratteristiche si potevano vendere ad una
clientela vastissima.
Durante il III ed il II millennio a.C. i Fenici
effettuano i loro scambi commerciali PREVALENTEMENTE PER
VIA TERRESTRE, avvalendosi della felice posizione geografica del loro
paese, attraverso il quale passano le vie carovaniere che collegano l’Egitto
con la Mesopotamia e l’Asia Minore, ovvero con le società allora più
evolute.
Questi vivaci contatti mercantili favoriscono un PROCESSO DI ACCULTURAZIONE CHE PIU’ TARDI, A SEGUITO DEL COMMERCIO MARITTIMO E DELLA COLONIZZAZIONE FENICIA, SI ESTENDERA’ AI POPOLI OCCIDENTALI, DECISAMENTE PIU’ ARRETRATI. Infatti il commercio dei Cananei non fu solo un importante veicolo di scambio economico, ma SOPRATTUTTO CULTURALE fra diverse genti: IDEE, CONOSCENZE, ABITUDINI, MERCI, TECNOLOGIE, TECNICHE DI LAVORAZIONE, INVENZIONI, provenienti da luoghi lontani hanno modo di essere diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo, dando vita così ad un’intensa opera di incivilimento.
Ma la conseguenza più rilevante degli scambi culturali
favoriti dall’attività commerciale fenicia è sicuramente la diffusione di un
nuovo e più semplice sistema di scrittura elaborato intorno al XII secolo a.C.
dalle popolazioni semitiche del Mediterraneo Orientale. Insomma i Fenici
contribuiscono a mettere in relazione popoli remoti
L’INVENZIONE
DELL’ALFABETO, UNA DELLE PIU’ STRAORDINARIE CONQUISTE DELL’UOMO
La scrittura usata in Mesopotamia è composta di oltre
500 segni; i geroglifici sono oltre 1000; i segni usati da un altro popolo del
Vicino Oriente, gli Hittiti, oltre 200.
I Fenici hanno un’intuizione geniale: le parole sono
composte da suoni; questi suoni sono relativamente pochi e, se combinati
assieme, possono formare tutte le parole; non si devono quindi rappresentare gli
oggetti espressi dalle parole (per indicare la parola «casa», non devo
disegnare una casa), ma i suoni; l’insieme dei suoni darà la parola.
I Fenici trovano 22 SUONI
FONDAMENTALI che, uniti tra loro, compongono tutte le parole. Nasce così
l’ALFABETO (vedi FIGURA
H1 e FIGURA H2).
E’ una conquista di importanza assoluta per una serie di motivi: molti imparano a scrivere; il sapere, la cultura, circolano tra gli uomini con maggiore facilità; la vita pubblica, la politica, gli affari che riguardavano i cittadini non sono più di competenza di pochi individui, (gli SCRIBI, ovvero i soli, che conoscono i segreti del leggere e dello scrivere), ma possono essere controllati da un numero sempre maggiore di persone.
PERCHE’ NASCE LA SCRITTURA ALFABETICA?
L’apporto più straordinario dei fenici al
progresso della civiltà è, come abbiamo già sottolineato, l’invenzione
dell’alfabeto, ideato essenzialmente per risolvere problemi di ordine pratico.
Il piccolo mercante fenicio deve registrare e vendere, tenere libri contabili,
vagliare la corrispondenza, stipulare contratti, ma i suoi guadagni sono
insufficienti a mantenere uno scriba di professione: egli perciò deve saper
leggere, scrivere e far di conto autonomamente. Dove trovare però il tempo per
imparare e memorizzare le centinaia di segni della scrittura cuneiforme o
geroglifica? Occorre quindi creare un sistema di scrittura meno complicato, più
facile da apprendere. Appunto da questa pressante esigenza, scaturisce, durante
il XIII secolo, la SCRITTURA
ALFABETICA,
composta da 22 segni corrispondenti ciascuno a un suono particolare.
L’ALFABETO fonetico (phonè = suono) si diffonde poi in tutti i paesi del Mediterraneo per merito degli stessi mercanti fenici e viene adottato in seguito dai Greci, che vi introducono anche le lettere corrispondenti alle vocali, mancanti invece nell’alfabeto fenicio, formato da sole consonanti.
La presenza dei Fenici in Sicilia è sicuramente
attestata dal secolo XI a. C. in poi, a MOZIA
(oggi isola di San Pantaleo, nella laguna detta “Lo Stagnone” nei pressi di
Marsala in Provincia di Trapani); a SOLUNTO e a CANNITA
(in provincia di Palermo); nello stessa città di PALERMO;
a SELINUNTE, a FAVIGNANA,
a LILIBEO (l’attuale MARSALA) e ad ERICE
(in provincia di Trapani); nonché nell’isola di PANTELLERIA
e ad ADRANON (in provincia di AGRIGENTO).
Come in altre aree dell’Occidente mediterraneo, emerge
con chiarezza in Sicilia, l’esistenza di una FASE
DI PRECOLONIZZAZIONE
FENICIA, collocabile cronologicamente tra l’XI
e il IX secolo a.C. Antichi apporti di materiali e influenze culturali (che
s’inseriscono spesso in contesti fortemente segnati dalla presenza MICENEA
vedi
fig. RD)
testimoniano una frequentazione fenicia nell’area CENTRO
– ORIENTALE dell’isola. In particolare THAPSOS
fornisce, con oggetti d’avorio e di vetro, alcune tra le più antiche
importazioni fenicie. Tali materiali si datano circa all’XI secolo, in una
fase dell’insediamento caratterizzata da forti influssi micenei, sia
nell’assetto urbanistico sia nei tipo ceramici. Questa presenza “precoloniale”,
confermata da solidi dati archeologici, supporta pienamente la tesi di TUCIDIDE
circa la priorità del Fenici rispetto ai Greci nell’isola. Un deciso
consolidamento delle posizioni fenicie si avvia nell’VIII secolo,
nell’ambito del complessivo processo di potenziamento coloniale che interessa
anche Malta, il Nord Africa, la Sardegna e l’Iberia e che trova la sua
principale motivazione nella crisi delle città della madrepatria (TIRO,
SIDONE, BERITO, BIBLO,…),
conseguente all’intervento militare dell’Assiria.
La colonizzazione storica fenicia ha peraltro,
connotazioni differenti nelle varie aree raggiunte. In Sardegna ed in Iberia
essa comporta la creazione di un numero rilevante di scali, anche molto
ravvicinati, e talora una rapida penetrazione subcostiera, in direzione delle
fonti di approvvigionamento delle materie prime metalliche. Nel caso della
Sicilia, essa ha invece come obiettivo prioritario il POTENZIAMENTO
DI ALCUNI SCALI PRIMARI, CON FINALITA’ DI TUTELA SULLE ROTTE DI LUNGO CORSO
TRA LA MADRE PATRIA E L’OCCIDENTE; sicché rimangono in secondo piano
le esigenze di penetrazione territoriale e di controllo sulle zone interne.
Inizialmente, dunque, l’esposizione commerciale fenicia interessa tutta la Sicilia. Ma quando i Greci, in gran numero, giungono per mare, a seguito della II colonizzazione, i Fenici abbandonano la maggior parte dell’isola, preferendo concentrarsi stabilmente nella parte occidentale della stessa, vicino agli Elimi, di cui diventano alleati, e anche perché, da quella zona, Cartagine dista pochissimo dalla Sicilia (si pensi che Lilibeo, l’attuale MARSALA (vedi FIGURA I), dista solo 160 Km da Capo Bon, in Tunisia). Quanto alla Sicilia Fenicia, è importante rilevare che i Fenici non solo vendono agli autoctoni vetri, porpore e metalli, ma svolgono anche una notevolissima opera culturale, perché, per merito loro, I SICILIANI SONO LA PRIMA POPOLAZIONE ITALIANA A CONOSCERE L’ALFABETO COMPOSTO DA 22 SEGNI CHE SI LEGGONO DA DESTRA A SINISTRA. ESSO E’ DA CONSIDERARE IL PROGENITORE DI TUTTI GLI ALFABETI MODERNI, PASSANDO ATTRAVERSO I CARATTERI PRIMA GRECI E POI LATINI (vedi FIGURA L). LA STESSA INTRODUZIONE, NELL’ISOLA, DEL FERRO VIENE ATTRIBUITA ALL’ARRIVO DEI NAVIGATORI.
Prima
della fioritura urbana, le conoscenze che gli uomini accumulavano, venivano
comunicate a voce agli altri e tramandate, sempre oralmente, alle generazioni
successive, perché la somma delle notizie o delle cognizioni acquisite erano
relativamente modeste. Ma in MESOPOTAMIA (che
significa ”terra tra i fiumi”, corrispondente all’attuale IRAQ)
il popolo dei Sumeri, fra il 3250 e il 3100 a.c. inventa la scrittura. Qui si
sviluppa la prima civiltà urbana al mondo che vuol dire città monumentali
attorniate da vaste distese di terre coltivate, villaggi agricoli, forni e
officine per la lavorazione dei metalli. L’economia basata sull’agricoltura,
trova il suo sbocco in una rete commerciale che collega la Mesopotamia alle
regioni fornitrici di materie prime (in particolare metalli) e ad altri centri
di compravendita dei prodotti artigianali.
E’
proprio dal commercio, o meglio dal complesso delle attività economiche, che
sorge il bisogno di scrivere; gli
uomini di URUK, la città Sumerica, devono, infatti, registrare il via vai delle
merci contenute nei magazzini. Da tempo ai colli ammassati nei depositi
appendono etichette di creta con stampigliato il marchio del produttore e
tengono il conto delle entrate e delle uscite con delle pietruzze conservate nei
vasi; ma l’intensificarsi degli scambi crea l’esigenza di sistemi più
funzionali, che permettano di annotare anche i quantitativi, il genere delle
merci e i nomi dei fornitori e dei clienti. Inizialmente nessuno si rende conto
della portata rivoluzionaria della nuova invenzione. Nata esclusivamente per
snellire un lavoro di semplice computisteria, la scrittura non tarda molto a
rivelare una vasta gamma delle sue possibili applicazioni. Infatti, si
cominciano ad elaborare lunghi testi di carattere sia religioso che profano; il
ricordo dei fatti passati, che prima dell’avvento della scrittura era affidato
esclusivamente alla memoria degli uomini, viene ancorato a documenti che
giungono fino a noi, sfidando l’usura del tempo. Quest’evento
segna uno spartiacque nell’evoluzione dell’umanità;
CON
LA NASCITA DELLA SCRITTURA LA PREISTORIA FINISCE E COMINCIA LA STORIA.
La prima scrittura ideata dall’uomo fu la PITTOGRAFIA, che fa ricorso a disegnini o PITTOGRAMMI riproducenti (vedi FIGURA M) le forme di cose, uomini ed animali. E’ questo un metodo semplice che si basa su di una “SCRITTURA FIGURATA”, di una “comunicazione tramite disegno” dove OGNI DISEGNO RAPPRESENTA UN OGGETTO (ad es. il disegno di una mela richiama l’idea di una mela). Il limite di questo sistema è che richiede l’apprendimento di un numero enorme di segni (500 nella scrittura Mesopotamica) e che non è adatto ad esprimere verbi e concetti. Può essere sufficiente per comunicazioni semplici ed essenziali, ma non è in grado di registrare un pensiero complesso. Poi i disegnini, utilizzati, vengono incisi su tavolette d’argilla con strumenti appuntiti. Nella grafia Mesopotamica ogni segno sillabico comincia con una piccola impronta triangolare a forma di chiodo (vedi FIGURA M) donde la denominazione di scrittura CUNEIFORME (dal latino CUNEUS = chiodo). Il gradino seguente s’identifica nella cosiddetta SCRITTURA IDEOGRAFICA: il segno non intende più raffigurare un oggetto, ma invece esprime un concetto che scaturisce naturalmente da quell’oggetto (vedi FIGURA N); cosi un piede è pittogramma in quanto richiama l’idea del piede, mentre è ideogramma se richiama l’idea del camminare che deriva da quello di piede. Un altro passaggio importante è quello che vede OGNI SEGNO INDICARE NON PIU’ UNA COSA, MA IL SUONO CHE VIENE EMESSO PER DEFINIRE QUELLA COSA. Nasce così la SCRITTURA FONETICA. Da questo tipo di scrittura si passa a quella SILLABICA, dove OGNI SILLABA E’ RAFFIGURATA CON UN SEGNO DIVERSO: un esempio di questa scrittura è la LINEARE B dei Micenei. Il passo definitivo consiste nell’introduzione di SEGNI PER INDICARE NON PIU’ LE SILLABE, MA LE SEMPLICI CONSONANTI: da questa mirabile intuizione ha origine l’alfabeto così come la intendiamo noi oggi. Le prime tracce di una scrittura di questo tipo risalgono al 1500 a.c. circa e sono conservate in un gruppo di tavolette ritrovate nel Sinai, in un antico centro minerario egiziano: gli autori sono cananei, una popolazione protofenicia che abita nell’area libano-palestinese. Un sillabario trovato a UGARIT, una città della cananea, risalente al 1200 a.c. contiene 22 SEGNI ALFABETICI. L’alfabeto FENICIO (da cui discende quello greco, latino e il nostro attuale) viene definitivamente fissato a BIBLO intorno al 1000 a.c. : contiene 22 CONSONANTI mentre sono assenti le vocali così come si verifica nelle principali lingue semitiche, l’ebraico e l’arabo, che si avvolgono esclusivamente di consonanti. Le vocali sono aggiunte dai GRECI che, tra l’altro, incrementano l’alfabeto fenicio di quattro lettere per visualizzare i suoni assenti nella lingua fenicia e presenti in quella greca. Non sappiamo quando i greci abbandonano la scrittura sillabica per passare a quella alfabetica, ma la derivazione del loro alfabeto da quello fenicio è più che certa (gli stessi GRECI lo chiamano PHOINIKA GRAMMATA, ovvero “segni fenici”). L’opinione corretta è quella che l’alfabeto sia arrivato nella Grecia continentale attraverso alcune isole dell’EGEO (MILO, THERA e CRETA), che avevano stretti rapporti commerciali con i mercanti fenici.
Scrivere
nel 3000 a.c. era complicato, sia perché implicava la conoscenza di un numero
elevatissimo di segni ( dai ~2000 di allora, contro i 21-26 segni di oggi ), sia
perché gli stessi erano molto elaborati da un punto di vista grafico.
L’adozione della scrittura come sistema di comunicazione opera quindi una
frattura tra i pochi che sanno esprimersi per iscritto e i molti che invece non
sanno farlo. I pochi che “sanno” sono gli SCRIBI
(vedi fig. AZ). Costoro sono tutti figli di personaggi in vista: alti funzionari
dell’amministrazione, sacerdoti, archivisti. La scrittura, che permette una
registrazione accurata e precisa delle risorse di un paese e un continuo
controllo della situazione economica, costituisce per loro, un grande strumento
di potere.
LE
SCUOLE
L’importante
ruolo svolto dagli scribi nella società richiede una serie di conoscenze che
vanno molto al di là di quelle relative alla tecnica scrittoria. Ma presto non
si tollera più che la formazione di una categoria così essenziale alla vita
dello Stato fosse affidata al caso. Viene creata un istituzione permanente che
fornisca una serie di garanzie: innanzitutto la qualità dei futuri funzionari,
che devono essere in numero sufficiente a far fronte alle esigenze della società;
in secondo luogo, la qualità del loro bagaglio di conoscenze e soprattutto
l’omogeneità della loro cultura (tra le necessità più elementari, ad
esempio, vi è che tutti obbedissero alle stesse norme ortografiche e
calligrafiche, perché lettere, documenti, registri fossero leggibili da
chiunque). Nasce così la scuola per gli scribi.
I
contatti fra il mondo greco e la Sicilia risalgono agli albori della civiltà
greca: ne sono testimonianza, oltre alla tradizione mitica della poesia omerica,
i numerosi ritrovamenti archeologici che attestano la presenza del commercio
cretese e miceneo sulle coste orientali e meridionali dell’isola, fin dalla
metà del II millennio a.C.
Tuttavia,
questa sorta di “precolonizzazione”, si limita esclusivamente a scali
marittimi, mentre non c’è traccia, fra XIII e VIII secolo a.C. di
insediamenti stabili.
La
colonizzazione della Sicilia (avvenuta nel 735 a.C.), inizia solo quando le
condizioni interne della Grecia diventano, per molte persone, insostenibili e
quando si scopre l’importanza strategica dell’isola ai fini della
penetrazione commerciale nel Mediterraneo.
·
LE CARATTERISTICHE
FISICHE DELLA REGIONE
La penisola greca non è
particolarmente ospitale: il territorio, PREVALENTEMENTE
MONTUOSO (vedi FIGURA
O), fa si che gli
spazi coltivabili siano scarsi e riducibili a poche zone fluviali del
Peloponneso e a sparute pianure, peraltro aride, della Beozia e della Tessaglia.
Ad aggravare la situazione dell’agricoltura ellenica, povera e tecnicamente
arretrata, contribuisce un esuberante incremento demografico, intorno alla metà
dell’VIII secolo, che rende più evidente lo squilibrio tra popolazione e
terra coltivabile (peraltro nelle mani di pochi latifondisti), tanto che, ben
presto si rilevano inadeguati, per buona parte del popolo, i mezzi di
sussistenza provenienti da questo fondamentale settore. Occorre dunque, per
sfuggire alla fame o per condurre un’esistenza meno penosa, ricercare, con
solerte determinazione, nuove terre coltivabili all’infuori della madre
patria.
·
I MOTIVI DELLA DIASPORA
◊
LA
CARENZA DI GRANO
Le
colline assolate si prestano bene alla coltivazione della vite e dell’ulivo;
queste due piante, sin dai tempi della civiltà cretese costituirono la maggior
risorsa del paese dove la scarsa produzione di grano viene sostituita da cereali
meno pregiati, quali l’orzo e miglio.
◊
SCARSA
DISPONIBILITA’ DI MINERALI
Per
quanto concerne la disponibilità di minerali, tranne l’argilla che abbonda
dovunque, il tufo calcareo (di cui i greci si avvalgono per costituire i templi)
e il marmo, gli altri, occorrenti all’industria devono essere importati: rame
da Cipro, stagno dalla Britannia, ferro dall’Asia Minore e dall’Italia, oro
dall’Oriente, ambra dall’Europa settentrionale.
◊
LA
CARENZA DI LEGNAME
All’inizio il legname (pini, abeti, cipressi, querce, pioppi, ontani, faggi, olmi, platani, aceri, frassini, allori, salici, vimini) non mancava. Da foreste sono ricoperti i massicci montuosi della Macedonia, della Tracia, di Creta e di Lesbo.
SENONCHE’
IL FABBISOGNO E’ ENORME: case, navi, mezzi di trasporto, arnesi di ogni
genere sono di legno; lo si usa anche per fondere i metalli e per la cottura
delle ceramiche. LA GRECIA VEDE QUINDI RAPIDAMENTE
DIMINUIRE LA PROPRIE RISORSE BOSCHIVE (anche perché i contadini
abbattono gli alberi per ampliare le aree coltivabili così come i pastori che
hanno bisogno di foraggio per le loro greggi) e diventa importatrice di cedri
dalla Cilicia e dalla Siria, di frassini dal Ponto e di platani dalla Frigia. PERCIO’
I GRECI SONO SPINTI AL COMMERCIO MARITTIMO PER PROCURARSI ALTROVE QUELLO CHE LA
LORO TERRA NON PUO FORNIRE. in cambio di grano, minerali, schiavi,
legname essi offrono i prodotti degli artigiani, vasi in primo luogo, profumi,
olio e vino.
◊
IL
DIRITTO EREDITARIO
Secondo il diritto vigente in
tutte le POLEIS (= città stato) greche e
relativamente alle norme che regolano l’eredità, il PATRIMONIO
PATERNO DEVE ESSERE DIVISO IN MISURA UGUALE TRA
GLI EREDI MASCHI. Proprietà terriere
sufficienti al sostentamento decoroso di una famiglia si riducono perciò, con i
successivi passaggi ereditari e il conseguente frazionamento dei possedimenti, a
piccoli appezzamenti che condannano inesorabilmente i rispettivi possessori alla
rovina. Così i ricchi possono facilmente acquistare i terreni dei contadini
caduti in disgrazia, diventando ancora più potenti. In questo modo, la
differenza sociale ed economica tra i grandi proprietari e contadini impoveriti
cresce sempre di più. Ciò contribuisce a scatenare notevoli tensioni sociali.
◊
LA PRESSIONE DEI PERSIANI
SULLA IONIA
Un’altra
causa che favorisce la seconda colonizzazione greca dipende dalla pressione
esercitata dai Persiani sulle città ioniche dall’Anatolia. Popolazioni come i
Focesi, piuttosto che arrendersi agli invasori, preferiscono abbandonare le loro
città.
◊
CONFLITTUALITA’ POLITICHE
Le
conflittualità tra le opposte fazioni politiche, all’interno della POLIS
(= città stato) e le guerre intestine, costringono molti cittadini, banditi o
condannati dai capi delle fazioni al potere, a fuggire e a cercare lidi più
ospitali, in cerca di una vita più libera.
◊
INADEGUATO SFRUTTAMENTO DEL
SUOLO
Dall’età
arcaica (VIII-VI secolo a.C.), all’età classica (V-IV secolo a.C.) le
tecniche dello sfruttamento del suolo subiscono una lenta evoluzione. Gli
strumenti del contadino non mutano in modo essenziale: l’aratro di legno non
subise perfezionamenti, si continua a mietere col falcetto, a trebbiare il grano
con il carreggiato o facendolo calpestare dai buoi e muli in aie rotonde. Si
semina a mano aiutandosi con la zappa per meglio interrare i semi e di un
mazzuolo per frantumare le zolle più dure, si macinano i cereali con la mola a
mano o più semplicemente con il mortaio ed il pestello.
Ma
la colonizzazione ha certamente altri impulsi. Per esempio, gioca un certo
ruolo, l’imitazione dei fenici che, per ragioni prettamente commerciali, nel
IX secolo avevano fondato in Occidente (come abbiamo gia visto) importanti
colonie come Cartagine. Ma non vanno dimenticati, infine, i moventi psicologici,
temperamentali, morali, quali la voglia di arricchirsi, il desiderio di novità,
la curiosità culturale, l’impossibilità di esprimere il proprio potenziale
nella madrepatria per motivi sociali, politici ed economici.
◊
ESIGENZE MERCANTILI DELLE
POLEIS
I
greci sono spinti al commercio marittimo per procurarsi altrove quello che la
loro terra non può fornire. Infatti, in cambio di grano, minerali e legnami
cercano nuovi clienti che possano acquistare alcuni beni, quali armi, vasi,
olio, vino che vengono, in Grecia, prodotti in grande quantità. Non a caso,
intorno all’ VIII secolo, i mercanti greci intensificano gli scambi in tutto
il Mediterraneo, dalla Siria fino a Gibilterra. Per proteggere e sviluppare i
loro traffici con gli altri popoli, disseminano le coste di basi commerciali e
città (vedi FIGURA P).
◊
INIZIA LA II COLONIZZAZIONE
GRECA
Per
queste fondamentali ragioni prende avvio, verso il 780 a.C., uno straordinario
fenomeno migratorio che COSTITUISCE PER MOLTO TEMPO,
fino a quasi tutto il VI secolo a.C., UNA VALVOLA DI SFOGO
PER LE TENSIONI SOCIALI INTERNE. Come si può notare dalla FIGURA
P, le
direttrici di tale processo sono due: quella verso occidente, interessa, oltre
alla penisola italica e alla Sicilia, anche le coste meridionali della Francia e
della Spagna; quella verso Oriente si svolge verso le coste del Mar Nero. Da
qui,infatti, proviene, sin dal II millennio a.C., il grano di qui necessita la
Grecia.
◊
LA FONDAZIONE DI UNA COLONIA
Le spedizioni non sono affidate alla semplice iniziativa privata dei singoli, ma l’organizzazione spetta alle città MADRE. La ricchezza e l’organizzazione politica della POLIS di provenienza, danno agli emigranti la spinta decisiva: le comunità d’origine procurano risorse: navi, armi, equipaggiamento e scorte di cibo che garantiscano una lunga sopravvivenza dei coloni. Il punto più usuale di partenza è il porto di MILETO (vedi FIGURA Q), che insieme a Calcide, Eretria, Megara, Corinto, monopolizza il trasporto delle persone verso Occidente. Si evita, per ragioni di sicurezza, di prendere il mare della cattiva stagione e ci si tiene il più possibile vicino alle coste, per approdare rapidamente, in caso di tempesta o, nell’eventualità tutt’altro che rara di un attacco piratesco. Si preferisce navigare di giorno prendendo terra di notte (si dorme sotto una minuscola tenda o avvolti nel mantello, sulla ghiaia o sulla sabbia).
E’ probabile che i coloni diretti in Sicilia e nell’Italia meridionale seguissero la sperimentata rotta Micenea, che contemplava la traversata del CANALE D’OTRANTO, durante la quale la terra si perde di vista solo per poche ore. La strumentazione è inesistente. Non sono disponibili né la bussola, né il sestante. Ci si affida alla perizia del nocchiero, che conosce, per averli più volte frequentati, i fondali, le coste, gli approdi (bocche di fiumi, insenature, promontori), a cui è familiare il regime dei venti e delle correnti, capace di evitare i punti pericolosi e di riconoscere nottetempo i percorsi, regolandosi sulla posizione delle stelle (le due Orse, le Pleiadi, Orione, Arturo). Con vento propizio si va a vele. Sennò, si rema, facendosi dare la cadenza (così come avveniva per i mercanti fenici) da un flautista, anche per 16 o 18 ore, dandosi il cambio a gruppi. La distanza percorribile in una giornata non funestata da incidenti, un po’ remando, un po’ sfruttando il vento, non supera il centinaio di chilometri. Una velocità di quattro nodi è più che rispettabile, soprattutto per una nave da trasporto. Velocità maggiori, fino a 7/8 nodi si raggiungono solo per brevi tratti (specie se l’addensarsi di un uragano o il profilarsi di una nave sospetta, stimolavano adeguatamente i vogatori). A parte la fatica dei rematori, i disagi sono uguali per tutti: caldo, freddo, pioggia, vento, ondate. I passeggeri sono tenuti in caso di necessità ad aiutare nelle manovre. Pochi bagagli: già non è facile trovare posto per le persone, pressate come sardine. Il cibo non è esaltante e di acqua bisogna fare economia. Ogni gruppo di spedizione, composto per lo più da uomini, è guidato da un membro della nobiltà, l’ECISTA o il fondatore. I viaggi sono comunque sempre preceduti da un viaggio a Delfi, dove l’oracolo di Apollo indica il luogo dove gli dei vogliono che sorga una nuova città. Peraltro, le località scelte per la fondazione, anche sulla scorta delle esperienze fatte in precedenza dai mercanti (vivacissimo era stato il commercio con l’Italia in età micenea), devono rispondere ai seguenti requisiti: DIFENDIBILITA’ (preferiti sono i promontori), FACILITA’ DI APPRODO e FERTILITA’ DEL SUOLO. L’ecista dispone di grande potere e prestigio: esso trasferisce il fuoco e i culti della metropoli sulla colonia, mentre le sue decisioni hanno un carattere sacro, tanto che alla sua morte (vedi FIGURA R) viene onorato come un dio. Affiancato da agrimensori (tecnici che misurano e stimano la terra), ingegneri ed indovini, presiede alla costruzione della cittadella, a quella degli edifici pubblici e stabilisce l’ordinamento politico giudiziario e religioso. Suo compito è anche quello di garantire l’estrazione a sorte dei terreni, in modo che nessuno sia privilegiato. A differenza delle colonie romane, le colonie greche non hanno un vincolo di dipendenza politica dalla polis originaria; esse sono autonome, pur mantenendo con la madrepatria legami economici, religiosi e culturali. Sbarcati nel luogo prescelto, i coloni, dividono il territorio urbano in tre parti: in primo luogo lo spazio assegnato alle divinità che, con il loro templi, assicurano la protezione delle nuove città. Poi lo spazio predisposto per le strutture pubbliche, come l’AGORA’, la piazza, luogo d’incontro dei cittadini, ed infine le abitazioni dei coloni. Contemporaneamente, la nuova colonia tenta di assicurarsi il controllo del territorio circostante, da cui dipende la sua ricchezza e sopravvivenza.I greci che nell’VIII a.C.
partono per colonizzare la Sicilia, appartengono a varie stirpi (vedi FIGURA
S)
provenienti sia dall’Egeo Greco che dall’Asia Minore Greca. Aprono la strada
gli IONI: il primo
insediamento ellenico risale al 735 a.C., quando un gruppo di Calcidesi dell’Eubea,
guidati da Teocle, si insediano presso il Capo SCHISO’,
a sud di Taormina fondando NAXSOS o NASSO,
sito strategicamente prezioso per il controllo delle rotte commerciali passanti
attraverso lo stretto di Messina. Nel 734, coloni Dori, provenienti da Corinto,
comandati da Archia, si stanziano nel centro siculo di Suraka, poi diventato
Siracusa, che a sua volta fonda nel 694 AKRAI
(oggi PALAZZOLO ACREIDE), nel 644 Casmene e nel 598 Kamarina.
Nel 729 coloni Carcidesi danno origine a Katane (l’odierna Catania) e
Leontinoi mentre altri greci, provenienti da Megara, guidati da Lamis, erigono MEGARA
HYBLAEA, che a
loro volta fondano nel 650, la più occidentale delle colonie elleniche di
Sicilia, in piena zona punica, SELINUNTE.
Nel 725 i calcidesi di Cuma, di
Naxsos e dell’Eubea fondano Zancle (Messina), che a sua volta crea Mylai
(Milazzo) nel 716 ed Imera nel 648 a.C.
Coloni di Rodi, guidati da ANTIFEMO
e coloni di Creta, guidati da EUTIMO, fondano la
colonia dorica di GELA che, a sua volta fonda AKRAGAS
(AGRIGENTO) nel 581 a.C.
Nel 585 coloni di Rodi, Cnido e
Gela, approdano nelle isole Eolie disabitate e fondano LIPARA (LIPARI).
CONSEGUENZE DELLA II COLONIZZAZIONE
I Greci non si
spingono mai nelle regioni interne dei paesi colonizzati, ma si insediano solo
sulle coste. Ciò nondimeno il loro contributo all’incivilimento delle popolazioni locali è decisivo, specie in Sicilia e
nell’Italia Meridionale.
Direttamente o per il
tramite degli Etruschi, i Latini derivano poi dagli Elleni l’alfabeto, alcune
divinità, riti religiosi, costumi, principi giuridici e, insomma cultura
nell’accezione più ampia del termine.
Altrettanto positiva
è l’esperienza della colonizzazione dei greci stessi. Le energie dei coloni,
liberate dall’oppressione dei regimi aristocratici, si dimostrano presto
straordinariamente vivaci.
Da principio, questi
importano dalla madrepatria olio, vino, vasellame, utensili e in genere le cose
cui sono abituati nella loro vita precedente. Poi, specialmente per quanto
riguarda le derrate agricole le colonie si rendono autosufficienti o producono
più del fabbisogno locale ed esportano a loro volta le eccedenze.
I mercanti greci che
commerciano con le colonie stabiliscono rapporti anche con le popolazioni
indigene e scambiano le proprie merci con granaglie, rame, pelli e schiavi. I
traffici, in altre parole, si estendono dal Mediterraneo al Mar Nero, e una tale
ampiezza del mercato
stimola le attività economiche di tutto il mondo ellenico.
Nella Ionia e a Mègara
fioriscono le industrie tessili. A Calcide e a Corinto la metallurgia fa rapidi
progressi. Ancora a Corinto, e più tardi ad Atene, l’artigianato delle
ceramiche si perfeziona sia nella tecnica sia nella decorazione.
Lo sviluppo coinvolge
progressivamente tutte le attività economiche.
La produttività del
lavoro agricolo aumenta
cosicché è possibile accrescere la produzione e nello stesso tempo trasferire
all’artigianato e all’industria parte della manodopera prima addetta alla
coltivazione di campi.
L’infittirsi dei
commerci a distanza, impone il miglioramento delle imbarcazioni: e le vecchie pentecònteri a 50 remi sono
soppiantate nel VII secolo dalle navi a vela, manovrabili da equipaggi meno
numerosi, e quindi di gestione meno costosa.
L’intensità degli
scambi costringe ad
abbandonare il baratto e ad adottare la moneta inventata nel VII secolo presumibilmente
dai Lidi o dai Greci della Ionia.
La moneta, d’altra
parte, non è solo un mezzo di pagamento più comodo e più preciso, ma anche un
nuovo tipo di ricchezza
mobiliare, disponibile per gli
investimenti di volta in volta suggeriti dal variare delle situazioni
economiche.
Ora, tra le
conseguenze più vistose di un così complesso movimento colonizzatore e più in
particolare dall’intensa attività realizzatrice svolta dei coloni
nell’ambito dei centri urbani da loro fondati e del territorio circostante, va
in primo luogo ricordato un deciso incremento degli scambi e delle attività
industriali ed artigianali determinatosi in tutte le città greche in rapporti
di affari con il mondo coloniale e specialmente in quelle marittime, ove ad
un’economia chiusa, a carattere tipicamente agricolo, si viene a poco a poco
sostituendo un’economia aperta a carattere commerciale e industriale,
destinata in tempi brevi a tenere
sottocontrollo gran parte del traffico Mediterraneo.
A questa prima
conseguenza di natura essenzialmente economica deve però ben presto tener
dietro un’altra non meno importante e decisiva dal punto di vista socio –
politico; la formazione cioè di una classe di nuovi ricchi, quella dei mercanti
e degli industriali (demo), decisa ad intraprendere contro gli aristocratici una
lotta a fondo per la conquista del diritto di partecipare all’attività di
governo. L’oppressione subita nei paesi d’origine è infatti sempre viva
nella loro mente e nei loro cuori: ecco perché nulla essi trascurarono pur di
ottenere la guida del governo locale, segnando così la fine graduale del
predominio dell’aristocrazia e il promettente inizio di forme di gestione dei
pubblici poteri sempre più democratiche.
Peraltro un simile esempio incoraggia ed accelera anche nella penisola Ellenica l’ammissione dei nuovi ricchi alla vita politica delle singole città e conseguentemente la sostituzione anche nella madre patria dei governi aristocratici (aristocrazia = predominio della nobiltà) con governi timocratici (timocrazia = predominio della ricchezza).
Come
tutti i popoli dell’antichità, ad eccezione di quello Ebreo, i Greci sono
politeisti, ovvero adoratori di
molti dei.
Per
ogni avvenimento importante, per ogni fenomeno naturale, per ogni attività,
c’è una divinità cui rivolgersi per avere aiuto e protezione.
La
religiosità Greca, si definisce quindi PERVASIVA
e UTILITARISTICA:
¨ Pervasiva perché investe ogni aspetto dell’esistenza umana;
¨ Utilitaristica perché i Greci, come i Romani, fanno sacrifici di animali agli dei, per avere in cambio dei vantaggi materiali molto concreti, come un miglioramento delle condizioni di vita, un buon raccolto, la vittoria in battaglia o la protezione divina durante un viaggio.
Le
divinità Greche sono ANTROPOMORFE, rappresentate
cioè con caratteristiche simili a quelle umane, non solo nell’aspetto, ma
anche nei sentimenti e nei comportamenti; Pur essendo immortali, sono agitati da
passioni, amano, odiano, litigano, si disperano, provano gelosie, si
riconciliano e partecipano attivamente alle vicende umane.
La
loro sede è tra la terra e il cielo, sulla vetta del monte più alto della
Grecia, l’Olimpo.
Ogni
divinità possiede particolari poteri (vedi FIGURA
U).
Così
Poseidone è il dio del mare, Afrodite propizia gli amori.
Padre
di queste divinità è Zeus.
Per comprendere l’aspetto fondamentale e apparentemente
contraddittorio dell’esperienza religiosa greca, quello cioè di essere
un’esperienza diffusa e onnipervasiva dell’esistenza, ma al tempo stesso per
così dire “leggera ”, non opprimente psicologicamente e socialmente,
occorre chiarire quel che la religione Greca non è stata.
In primo luogo, essa non si fonda su alcuna rivelazione positiva direttamente concessa dalla divinità agli uomini; non ha dunque alcun profeta fondatore, a differenza delle grandi religioni monoteistiche del Mediterraneo, e non possiede alcun libro sacro che enunci le verità rivelate e costituisca il principio di un sistema teologico.
L’assenza del libro comporta la parallela assenza di un gruppo di suoi interpreti specializzati; non c’è mai stata in Grecia una casta sacerdotale permanente e professionale (l’accesso alle funzioni sacerdotali era in linea di principio aperto a ogni cittadino e di norma in via transitoria) e tanto meno una chiesa unificata, intesa come apparato gerarchico e separato, legittimato ad interpretare le verità religiose e ad amministrare le pratiche del culto.
Né ci sono mai stati dogmi di fede la cui osservanza andasse
imposta e sorvegliata e la cui trasgressione desse luogo alle figure
dell’eresia e dell’empietà.
E’ rappresentata da due tipi di monumenti: il TEMPIO e il TEATRO.
Situati al di fuori delle città, questi edifici devono essere
visibili da lontano, motivo per cui dominano spesso uno splendido panorama.
LA
FUNZIONE
Un elemento importante di fissazione della religione Greca si ha quando, attorno al VII sec. a.c., comincia a costruirsi il tipo canonico del Tempio Greco, come edificio in pietra con un colonnato (PERISTASI) lungo i lati.
Il
tempio Greco, a differenza della chiesa Cristiana, non è concepito
come luogo in cui i fedeli si radunano per celebrare il loro culto, ma la
funzione prioritaria è quella di custodire la statua della divinità cui è
consacrato e che è collocata nell’area più interna e protetta del tempio:
la CELLA O NAOS (vedi
FIGURA Z).
I riti religiosi, infatti, si celebrano all’aperto, alla presenza dei fedeli, nello spazio antistante il tempio; a questi è concesso soltanto di partecipare alle processioni che si svolgono lungo il colonnato.
Alla
cella possono accedere solo i sacerdoti.
Rivolto
ad Oriente, perché i Greci e i Romani, ritengono che l’immagine della divinità
deve guardare il sole che nasce, il tempio può essere piccolo o grande,
semplice o complesso, ma in ogni caso deve possedere una cella interna (nàos),
ove si trova la statua del Dio.
Davanti
è un atrio (prònaos) costituito o dal prolungamento delle pareti
laterali del nàos racchiudenti nel lato anteriore due colonne (in antìs);
oppure da una serie di colonne trabeate (tempio pròstylos).
A
volte il tempio pròstylos presenta un analogo colonnato anche sul lato
posteriore (tempio amphiprotylos).
Infine
queste forme (in antis, pròstylos, amphiprostylos), vedi FIGURA
Z1,
possono essere circondate su tutti e quattro i lati da una fila singola (tempio perìpteros,
il tipo comune del grande edificio sacro greco) o doppia di colonne (dìpteros,
un tipo raro a causa della complessità degli elementi, non adatto allo spirito
chiarificatore dei Greci).
Qualche
volta – in un periodo più tardo – si trova anche la pianta circolare, detta
thòlos .
Poiché
all’interno della cella sono ammessi solo i sacerdoti, lo sviluppo del tempio
è soprattutto esterno: è fuori che, infatti, si svolge il rito ed è da fuori
che il tempio viene osservato e percepito nei suoi valori formali ed ideali.
Ciò giustifica l’attenzione dedicata alle colonne che, nei tipi più complessi, costituiscono l’elemento visivamente più rilevante, ma che, anche nel tipo più semplice, dominano la facciata, collocandosi nella parte anteriore del prònaos.
Mentre
lo schema della pianta resta sempre uguale, nell’alzato (e più precisamente
nella struttura colonnare e nella decorazione), si distinguono tre stili o
ordini (dorico, ionico e corinzio), (vedi FIGURA
AB) perché
vi è una disposizione organica delle varie parti, l’una relazionata
all’altra, secondo un criterio armonico tendente a costituire un insieme
architettonico unitario.
L’uso
della pietra negli edifici sacri, che dal 650 a.c. diviene sempre più
frequente, è decisivo per lo sviluppo dell’architettura arcaica.
La possibilità di realizzare edifici durevoli nel tempo porta automaticamente alla definizione di sistemi proporzionali e di apparati decorativi fissi, ripetuti da un edificio all’altro.
Nella
prima metà del VI sec. a.c. nascono dunque due veri e propri stili o ORDINI
ARCHITETTONICI, il dorico e lo ionico.
Solo
molto più tardi se ne aggiungerà un terzo, quello corinzio.
¨
L’ordine DORICO, semplice ed essenziale.
Nato nel Peloponneso, si diffonde nella Grecia continentale e conseguentemente nei paesi colonizzati, tra cui la Sicilia, dove esercita una forte influenza. I caratteri che lo distinguono sono le colonne scanalate, rastremate, cioè ristrette verso l’alto, prive di base, il semplice capitello è costituito da echino ed abaco, il fregio ritmato dall’alternarsi di triglifi e metope.
¨
L’ordine IONICO, agile e raffinato.
Nato
nelle isole dell’Egeo e nelle città dell’Asia Minore, non è codificato in
un modo altrettanto rigoroso. Sono comunque ioniche le colonne con scanalature a
spigoli, il capitello a “ volute”, il fregio continuo e, soprattutto,
un canone proporzionale più agile e slanciato di quello dorico.
¨
L’ordine CORINZIO, complesso ed
elaborato.
Si
sviluppa alla fine del V sec. a.c. come variante allo stile ionico e trova larga
applicazione in età ellenistica e romana fino al IV sec d.c.
La
differenza più appariscente, rispetto allo ionico, è nel capitello, formato da
foglie stilizzate accanto a leggere volute.
Gli
architetti, costatata la tendenza dell’occhio umano a deformare le linee degli
edifici di gradi dimensioni, apportano alla struttura convenzionale alcune CORREZIONI
OTTICHE.
Le
trabeazioni, le cui parti centrali sembrano cedere leggermente verso il basso,
vengono rialzate in centro, acquisendo un’impercettibile forma arcuata.
Per
creare un’impressione di perfetto equilibrio, e per evitare la sensazione di
moto in avanti, le colonne situate ai margini delle facciate dei templi, vengono
inclinate verso l’interno, in modo da evitare l’effetto di divergenza (vedi
FIGURA AC).
Inoltre,
le stesse sono di diametro maggiore delle altre perché, campeggiando contro uno
spazio più ampio, apparirebbero, per relazione comparativa, più sottili.
Alcune
di queste correzioni sono chiaramente visibili, mentre le altre sono
riscontrabili solo con la misurazione.
Per conseguenza l’edificio si mostra immobile, come l’idea della divinità che rappresenta: IMMOBILE PERCHE’ PERFETTO, PERCIO’ NON MUTABILE, NON EVOLVIBILE, ETERNO.
Nasce
ad Atene come forma di CULTO. La parola greca “ THEATRON
” indica il “ luogo in cui si guarda “. Costruito prima in legno e, a
partire dal IV secolo a.c. , in pietra, l’edificio (vedi FIGURA
AD),
comprende :
¨
Il KOILON o CAVEA, serie di gradini disposti
a semicerchi, la cui prima fila è riservata ai sacerdoti e ai nobili ; vi si
accede nella parte inferiore attraverso entrate laterali (PARODOS),
nella parte centrale per una galleria ( DIAZOMA ) e
in quella alta per un passaggio parallelo al diazoma.
¨
L’
ORCHESTRA, area circolare ove, intorno all’altare di DIONISO, prendono
posto il coro e gli attori, i cui volti sono nascosti da maschere di cuoio
corrispondenti al loro ruolo. Anche le parti femminili sono rappresentate da
attori maschi.
¨
Un
PROSCENIO (PROSKENION),
sullo sfondo, sorta di portico che serve da scenario.
¨
Una
SCENA (SKENE’), costruzione dalla triplice
funzione di fondale fisso, quinta e magazzino.
Esistono
tre tipi di rappresentazione:
¨
LE TRAGEDIE, che
portano sulla scena una narrazione dei fatti ispirati al mondo dei miti e
dominati da un profondo pessimismo. Fra le principali tematiche affrontate dalla
tragedia si possono individuare le considerazioni sulla responsabilità
dell’individuo, sul rispetto della giustizia, sul nesso tra colpa umana e
castigo divino, sulla necessità di controllare le passioni e i sentimenti. I
testi suggeriscono perciò agli spettatori riflessioni sui grandi problemi
dell’esistenza, sulla forza inesorabile del destino, sul rapporto tra gli
uomini e gli dei, sui doveri del singolo verso la collettività. Si può
affermare pertanto che il teatro nella polis, sviluppando un dibattito su
questioni etiche, politiche o religiose, esercita un’importante funzione
educativa a vantaggio di tutta la comunità cittadina.
¨
LE
SATIRE, che
sono scritte da autori tragici. Queste rappresentazioni mettono in ridicolo un
fatto mitico o leggendario.
¨ LE COMMEDIE, sono allegre e volgari, prendono in giro sia gli dei che gli uomini, con battute pesanti e giochi di parole. Anche i cittadini più noti e rispettati possono essere rappresentati come sciocchi e furfanti.
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