3. Il mondo dopo la prima Guerra Mondiale
Di Emanuele Penco
La guerra del 1914 - 1918 cambia il volto del mondo: l’Europa perde definitivamente la centralità e conosce un forte periodo di crisi economica e sociale. Nel ’29 la crisi colpisce gran parte delle Nazioni.
Tale crisi economica è causata principalmente dalla mancata riconversione degli apparati sfruttati per la produzione bellica e dalla sovrapproduzione. Inoltre crescono l’inflazione e la svalutazione, provocando disordini sociali e politici tra i diversi ceti, cui si aggiunge il malcontento provocato dall’insoddisfazione dilagata alla fine della guerra. Le nuove ideologie mettono in crisi i valori democratici esaltando l’uso della forza e rafforzando il potere esecutivo che si presenta come garante dell’interesse patriottico contro la “sovversione”. Nel corso delle trattative di pace, importante è l’intervento del presidente statunitense Wilson, che propone alcuni principi sulla cui base dare vita ad una organizzazione sovranazionale (la Società delle Nazioni) che salvaguardi la pace tra gli Stati. Purtroppo tutto è vano, in quanto la defezione delle massime potenze (a partire dagli Stati Uniti ), la dura punizione imposta alla Germania, lo smembramento dell’Austria e l’isolamento dell’URSS rendono fragile la pace mondiale.
Negli anni Venti e Trenta si afferma la società di massa, grazie anche all’introduzione della catena di montaggio, simbolo dell'organizzazione scientifica del lavoro.
La guerra segna il declino economico del vecchio continente e l’ascesa di nuove potenze, come USA e Giappone, in quanto soprattutto i primi diventano i maggiori creditori del mondo: ma il sistema economico tende alla crisi che sfocia nel crollo della borsa di Wall Steet nel ’29. Infatti, accanto ai problemi produttivi, si avvia una pericolosa speculazione in borsa che rialza enormemente i prezzi fino a che l’offerta supera la domanda determinando la crisi. Gli USA, in quattro anni, dimezzano la propria ricchezza e la crisi rapidamente diventa mondiale, colpendo soprattutto la Germania, dipendente dall’economia statunitense. Gli squilibri politici producono non solo crisi materiali ma anche spirituali, determinando sperimentazioni soprattutto in campo artistico, dove le avanguardie indagano la realtà umana esprimendo l’angoscia e la mancanza di certezze positive, tipica dell’epoca. Importante è il contributo dato dall'austriaco Sigmund Freud, fondatore della psicoanalisi, che sostituisce la rilevanza di ciò che è razionale e soggetto al controllo della volontà con l’indagine dell’inconscio, parte della psiche che sfugge alla consapevolezza (la "coscienza" di cui parla Svevo nel suo capolavoro): secondo Freud, importante non è ciò che un individuo fa o dice ma come risolve il conflitto interno tra Es, Super-io, Io, cioè istinti, pulsioni sessuali, controllo razionale e morale e capacità di mediazione tra essi, garantita dall'identità (l' "io", appunto).
L’esperienza della guerra convince molti intellettuali all’interventismo interpretato come la fine della decadenza spirituale per mezzo del ripristino di valori “autentici” e “naturali”, incarnati dalla forza e dal primitivo coraggio. L’affermazione della società di massa, in questi anni, fa nascere l’individuo-massa, considerato come colui che si identifica con la figura del “Capo”: l’individuo si annulla così nella massa; in altri casi, si contrappone in modo sprezzante ad essa. La posizione degli intellettuali oscilla, dunque, fra due estremi opposti: c'è chi si considera al di sopra della “massa” e perciò disprezza la democrazia e chi invece è propenso a lasciarsi inglobare da essa, rinunciando a una propria indipendenza di pensiero e facendosi guidare da "Capi" ritenuti infallibili o dai potenti mezzi di comunicazione quali la radio, strumento del fascino di molti dittatori.