6. La Russia di Stalin
Di Emanuele Iodice
Nei primi anni del potere bolscevico in Russia c’è un periodo di rivolte che interessano contadini, operai e militari che vogliono che nel Paese ci sia più democrazia, ma il potere riesce a reprimere ogni protesta, anche se a questo punto l’URSS si trova isolata rispetto agli Stati occidentali. Nel 1921, Lenin decide di avviare una nuova politica economica (NEP), allentando il controllo statale in modo da far riprendere il Paese economicamente. Gli esiti sono positivi, ma il problema della via da seguire per modernizzare rapidamente il Paese divide il gruppo dirigente bolscevico, dopo la morte di Lenin. Una parte, con a capo Bucharin, pensa di rafforzare l’economia rurale e una parte, con a capo Trockij, favorevole alla rivoluzione mondiale, pensa che la NEP indebolisca la prospettiva socialista e favorisca l’emersione di ceti medi benestanti. A questo problema se ne lega un altro, quella della nuova leadership.
La lotta che si viene a creare tra Trockij e Stalin, favorisce quest’ultimo che, liquidato l’avversario, inizia a pianificare l’economia e la proprietà pubblica con l’industrializzazione forzata. La rigidissima pianificazione economica consente all’URSS di diventare, tra il 1928 e 1937, la terza potenza industriale del mondo. Questo notevole sviluppo economico però non provoca l’aumento dei consumi delle famiglie, in quanto l’aumento di produzione riguarda solo l’industria pesante e militare. Si accentua, inoltre, la burocratizzazione nel Paese: il potere di Stalin diventa sempre più dittatoriale e si acuisce la lotta interna al Partito con la condanna a morte di molti bolscevichi; inoltre alla scienza e alla cultura viene vietato di opporsi al socialismo e ancor più a Stalin, la cui personalità viene deificata.
Tale situazione durerà fino alla morte di Stalin, che avverrà negli anni Cinquanta.