11. Il nuovo ordine del secondo dopoguerra
Di Martina Battaglioli
Il fenomeno più
rilevante del secondo dopoguerra è lo smantellamento degli imperi coloniali
europei. La guerra, infatti, accelera il processo di decolonizzazione,
rafforzando i movimenti nazionalisti ed indebolendo l’autorità dei Paesi
dominatori. Di fronte a tale processo, si determinano varie reazioni: la Gran
Bretagna cerca di guidare la decolonizzazione in modo diplomatico, mentre
Francia e Portogallo si oppongono militarmente alle rivendicazioni nazionali,
suscitando opposizioni e guerre di liberazione. Nonostante tutto, dopo il
raggiungimento dell’indipendenza, le relazioni economiche, politiche e
culturali con i Paesi ex-colonialisti non cessano ed esercitano a lungo una
vasta influenza sulla vita dei nuovi Stati.
Parallelamente,
la seconda Guerra mondiale decreta l’affermazione planetaria statunitense e il
declino delle potenze del vecchio continente. Gli Stati Uniti, sapendo che la
loro crescita dipende anche dalla ripresa europea, fin dall'inizio del secondo
dopoguerra aiutano i Paesi occidentali con un robusto programma di sostegno
economico: il “piano Marshall”. Così facendo, gli Americani legano le sorti
dei governi occidentali alla politica di Washington. L’egemonia economica
statunitense si conferma con l’adozione del dollaro come moneta internazionale
e con l'installazione delle basi NATO nell'Europa occidentale.
Dal 1950 al
1973 l’economia liberoscambista cresce senza troppe crisi; molti sono i
fattori che contribuiscono allo sviluppo economico mondiale: il basso costo
delle materie prime, la diffusione delle innovazioni tecnologiche, la scoperta
di nuove risorse e il rapido sviluppo dei trasporti.
In questa fase,
anche lo Stato, secondo il "nuovo liberalismo" keynesiano, svolge una
funzione fondamentale: infatti, per sostenere e regolare la domanda, ora ne
favorisce l’espansione, ora la limita per evitare fenomeni inflazionistici.
Nasce così un nuovo modello di regolazione sociale ed economica: lo "Stato
sociale" o “Stato del benessere”.
In Occidente,
tra il 1950 e il 1970, a causa della meccanizzazione, la forza - lavoro agricola
si riduce, crescono le attività terziarie e si realizza un processo di
scolarizzazione di massa. Quest’ultimo fenomeno fa emergere una nuova
soggettività giovanile che rappresenta la base sul quale nasce e si sviluppa la
contestazione del Sessantotto. Negli Stati Uniti, il Sessantotto è una risposta
al divario tra la crescita della ricchezza e l’aumento dei forti squilibri
sociali, economici e razziali. In Europa, invece, la contestazione giovanile
acquista un carattere molto più rivoluzionario, e coinvolge anche il ruolo
sociale e culturale della donna.
Nel 1973, a
causa dell’impressionante aumento del prezzo del petrolio, la ripresa
economica si arresta dando vita ad un fenomeno di “stagflazione” che
rappresenta il verificarsi in contemporanea di episodi di stagnazione ed
inflazione. Aumenta il costo delle materie prime, crescono i prezzi e
conseguentemente diminuiscono i consumi. Inoltre, l’applicazione
dell’informatica all’industria consente di automatizzare interi cicli
produttivi, dando così vita ad una nuova forma di disoccupazione tecnologica. A
partire dagli anni Ottanta, la crisi aumenta poiché lo squilibrio tra Nord e
Sud del pianeta non si riduce ma si rafforza e la competizione internazionale,
basandosi solo sulla variabile tecnologica, accresce il divario tra i Paesi
ricchi e Paesi poveri.
Infine, il sovrappopolamento dei Paesi del “terzo mondo” rende impossibile il loro sviluppo ed obbliga milioni di persone ad emigrare verso le aree ricche del pianeta, dove la natalità sta rapidamente decrescendo.