20. Il mondo dopo il crollo dell'URSS

Di William's Mariani

In seguito al crollo del muro di Berlino, che divideva la parte a regime comunista della città (appartenente alla RDT), da quella collegata con la Repubblica Federale Tedesca, inizia una drammatica transizione dei Paesi ex - comunisti dall’economia socialista pianificata e statalizzata, a quella di mercato. Terminato il processo, sorgono altri problemi: con l’utilizzo del nuovo metodo, la Russia, inizialmente, aggrava la sua crisi economica; nel frattempo si manifesta, invece, in Polonia, Ungheria e nella Repubblica Ceca, una ripresa economica.

Nei paesi dell’Est si determina, a volte, la seguente situazione: i Partiti comunisti o ex-comunisti vincono spesso le elezioni. Tutto ciò spinge ad una maggiore gradualità nella politica di cambiamento e nella riforma; la forza dell’opposizione al nuovo corso, infatti, in Russia si dimostra nell’occupazione del parlamento da parte di un consistente gruppo di parlamentari comunisti, cui risponde il bombardamento dell’edificio da parte di Eltsin.

Tra il 1988 e il 1992 scoppiano nell’Asia centrale numerosi conflitti armati su base prevalentemente etnica: il più importante vede la Cecenia rivendicare l’indipendenza dalla Russia ex-comunista. In Europa, invece, precisamente in Jugoslavia, dopo la morte di Tito si sviluppano tensioni tra la parte più sviluppata, che comprende Slovenia e Croazia, e quella meno sviluppata (Serbia, Macedonia, Montenegro, Bosnia). Tra il 1990 e il 1991 la Federazione si dissolve in una sanguinosa guerra civile. Per la Slovenia, la secessione è quasi indolore, ma non così per la Croazia, in quanto sul territorio è notevole la presenza di Serbi e viceversa. Questa guerra civile, considerata dal leader serbo nazional - comunista Milosevic una “pulizia etnica”, assume effetti ancora più tragici sulla Bosnia-Erzegovina, dove ai contrasti etnici si intrecciano quelli religiosi fra cattolici, ortodossi e musulmani, tanto che la capitale Sarajevo diventa la città martire del conflitto. Nel 1995 Serbia, Croazia e Bosnia, a Dayton firmano infine gli accordi di pace.

Scoppia, successivamente, il conflitto fra la Serbia e la minoranza albanese del Kossovo: di fronte ai massacri e alle deportazioni dei Kossovari, la Nato interviene e bombarda la Serbia. Agli inizi del terzo millennio, dopo il ritiro serbo, il Kossovo è ancora occupato da truppe internazionali, mentre nuovi conflitti etnici si accendono in Macedonia fra la minoranza albanese e la maggioranza greco - macedone.

Tra gli anni Settanta ed Ottanta si avverte sempre più l'esigenza di ampliare l’Europa, su basi multietniche e plurilinguistiche: da sei, gli Stati che partecipano al progetto diventano dodici: il trattato di Maastricht del 1992 accelera tempi e procedure del processo di unificazione, imponendo sacrifici alle Nazioni meno sviluppate, per consentire un'unificazione fondata sui vantaggi economici realizzati da tutti i Paesi aderenti. In tale direzione va interpretata la creazione della moneta unica europea (Euro).